1) Cibo che non si può mangiare, cibo da compagnia, cibo con occhioni sgranati e sorrisi da emoticon. Come mai questo motivo ricorrente?
N.G. Da piccola ero ossessionata dal cibo finto. Me ne andavo in giro spingendo il mio carrellino da supermercato di plastica, con dentro le mie pappe di plastica. Come per accompagnare questo cibo finto a fare una passeggiata. Ognuno ha fatto questa cosa da bambino, giusto? Un’altra influenza molto forte è il design giapponese: una faccina sorridente migliora qualsiasi cosa.
2) Esercizio di precisione, ipnotico passatempo della nonna, o arte antica radicalmente femminile, da riscoprire con una massiccia spolverata di ironia. Come vivi la tua tecnica?
N.G. Per me l’uncinetto è ognuna di queste cose. E, a parte questo, l’uncinetto mi porta in un posto molto zen, e mi pulisce la testa. Ma questo solo quando il pezzo viene fuori senza intoppi. Dato che sono completamente autodidatta, mi incasino un sacco. E quando mi incasino sono molto poco nonna-style.
3) Se lowbrow è fede nei poteri magici e nella vita nascosta degli oggetti, e nostalgia dell’infanzia, tu senti di farne parte?
N.G. Tutto quello che so è che la mia arte non sarà mai intellettuale, né lo sarà mai considerata. E questo mi va molto bene.
4) Che musica ascolti, quando lavori?
N.G. Ascolto tutti i tipi di musica. Ma quello che si intona meglio allo spirito dei miei pezzi sono gli Esquivel e They Might Be Giants.
Intervista realizzata per conto della rivista Bang Art, per il numero tematico sul cibo, primavera 2010