COUNT ZERO___ Personaggi, fondali, subculture e arte contemporanea nell’analisi di “Giù nel Cyberspazio” di William Gibson



COUNT ZERO, PERSONAGGI E FONDALI

Count Zero, classe 1986, vincitore dei premi Nebula e Hugo, è il secondo capitolo della prima trilogia di William Gibson, quella dello Sprawl. In un futuro prossimo, lo Sprawl, il Conglomerato, è una megalopoli immane che corre sulla costa est degli Stati Uniti, da Boston ad Atlanta.

Akira,1988. Katsuhiro OtomoLa traduzione italiana ha optato per il titolo Giù nel Ciberspazio (sic!). Noi manterremo il titolo originale. Count Zero, il Conte Zero, uno dei personaggi principali, ma anche interrupt di contatore zero, nel vecchio gergo dei programmatori. Count Zero è ambientato in un universo in cui i cavalli si sono estinti da trent’anni, le parrucchiere tagliano i capelli con penne laser,  si dorme su lastre di espansi, ci sono marche di vestiti usa e getta che durano un paio di giorni e l’editoria è un mestiere arcaico ma alla moda. Gli esseri umani possono fungere da input per output di Intelligenze Artificiali, tramite dei biosoft, per acquisire e metabolizzare informazioni a velocità supersoniche, un po’ come Neo quando impara il kung fu in Matrix. Stefania Rocca, Nirvana, di Gabriele Salvatores, 1997Non ci sono leggi contro la circolazione di veicoli corazzati.  E, last but not least, c’è il cyberspazio, la visione romantico-sublime della rete.

Quello spazio che non era spazio, l’allucinazione consensuale ed incredibilmente complessa dell’umanità, la matrice, il cyberspazio, dove i grandi nuclei dati delle società bruciavano come nove fluorescenti, così densi che bastava cercare di andare oltre il contorno per cortocircuitare il sistema nervoso”

cervelloAltro che social networks. Il cyberspazio è un’allucinazione a quattro dimensioni, che si fruisce mediante il coinvolgimento iperreale di tutti i cinque sensi, e che ha una molteplicità di funzioni. Nel cyberspazio si possono cercare informazioni più o meno esclusive, fare colloqui di lavoro in collegamento sensorio al parco Guell di Barcellona, coordinare operazioni militari. park_guell_barcelona by wolfgang staudtO anche farsi una convalescenza virtuale ma più reale del vero in una  casa del New England, in stile Beatrix Potter,  magari nel caso in cui un segugio kamikaze tarato sui tuoi ferormoni ti abbia fatto saltare per aria, ed un chirurgo olandese sia impegnato a rimettere insieme i pezzi del puzzle.

FAllout- newvegas cyberdogsCount Zero è scritto in uno stile asettico, pieno di dettagli, con cromature metalliche che mimetizzano i sentimenti dei personaggi. In effetti ci si rende conto che i personaggi non sono del tutto anafettivi solo intorno alla quinta lettura.  Come in tutte le opere di Gibson. Terribilmente  elegante e freddo, come il paesaggio immaginario sopra una scheda di circuiti elettrici.

circuits-computerLa struttura narrativa di Count Zero fa confluire le storie di miriadi di personaggi, ma in particolare tre, Turner, Marly Krushkhova e Bobby Newmark. Un soldato, una critica d’arte, ed un adolescente aspirante hacker. Nonostante le apparenze, ovvero tre vite mediamente incasinate, quello che li accomuna è un surplus di talento.

Il mercenario Turner, reduce dall’attacco segugio di cui sopra,  si ritrova con occhi e genitali nuovi comprati sul mercato libero, e un metro quadrato di pelle clonata sopra cartilagine di squalo. Ma, nonostante le apparenze, è più in forma che mai. Turner ha un corpo d’acciaio, fegato da vendere, sa vestirsi bene ed è intelligente. Nella Trilogia dello Sprawl, i mercenari vengono assoldati dalle multinazionali per combattere, sabotare e distruggere altre multinazionali, compiere operazioni di spionaggio industriale, rapire i loro luminari e ricercatori, o favorirne la fuga. Turner deve supervisionare la fuga di Christopher Mitchell, il genio faustiano  inventore del biochip, la tecnologia che segnerà l’obsolescenza del silicio. Ma la defezione non va come dovrebbe, Christopher Mitchell muore, e al suo posto Turner si ritrova fra le mani sua figlia diciassettenne, Angie, la Vergine dei Miracoli. Angie è la favorita degli dei del voodoo, capace entrare nel cyberspazio senza l’interfaccia di un hardware, di affacciarsi nella testa delle persone, di sentire attraverso loro.  Le scene di possessione di Angie continuano ad essere roba da brividi, anche intorno alla quinta lettura.v6 haitiandoll nina chakrabarti voodoo queens

Perché nella Matrice non ci sono solo i tracciati dei movimenti economici, le informazioni e le banche dati delle multinazionali, ma anche qualcos’altro, che si trova in alto, lungo le pieghe periferiche di rumor bianco. Le entità che si muovono negli interstizi del cyberspazio, favorendo alcuni operatori e distruggendone altri, hanno tutte le caratteristiche dei Loa, le divinità del voodoo.

Troni e dominazioni. (…) Sì, ci sono delle cose, là fuori. Fantasmi, voci. Perché no? Gli oceani avevano le sirene e tutta quella roba, e noi abbiamo un mare di silicio, no?

Potrebbero essere dei virus di programma che si sono liberati e sono diventati intelligenti… è una cosa che fa spavento. Forse quelli del Turing (dipartimento di polizia che si occupa dei crimini informatici, nda)  vogliono tenere la cosa segreta. O forse le IA hanno trovato un sistema per diffondere delle parti di loro stesse nella matrice, e questo farebbe venire i brividi al Turing. (…) Conoscevo un tibetano che fabbricava hardware per gli operatori che diceva che erano tulpa. Una specie di forma mentale. Una superstizione. La gente molto potente riesce a staccare da sé una specie di spirito fatto di energia negativa. Merdate. Come il voodoo di Jackie.

La teologia della Matrice, l’innesto di una delle religioni più antiche dell’umanità nello scenario visionario ed elettronico del cyberspazio, le epifanie paurose dei divini cavalieri del voodoo costituiscono una tematica talmente densa da meritarsi, nel futuro, un articolo autonomo.voodoo

Quindi, torniamo a Turner.

In una prospettiva ri-tribalizzante, Turner è un cacciatore. Prima delle operazioni militari,  il suo oscuro talento gli procura  “uno stato d’animo sincronico e sovrumano di cui gli stimolanti potevano  solo dare una pallida imitazione”. Turner ci procura il piacere vertiginoso di scene di guerra da Mad Max in versione iper-tecnologica.mad-max-2, copyright Warner Bros

La nostra donna però, quella che ci interessa nello specifico, è Marly Krushkova. Ai tempi delle tribù, Marly sarebbe stata una cercatrice. Con addosso una giacca di Sally Stanley dell’anno prima, fradicia di pioggia e in bolletta dura, l’ex direttrice di una piccola galleria parigina va alla Galerie Duprey ad incontrare Herr Josef Virek, ricchissimo squalo collezionista e mecenate, che le sta incredibilmente offrendo un lavoro. La carriera di Marly è finita con uno scandalo, dopo che il suo ex è riuscito a convincerla di aver trovato una scatola di Joseph Cornell originale e perduta dai tempi, rivelatasi poi un falso. Virek le mostra un’altra scatola, primo esemplare di una collezione di sette.joseph-cornell-solomon-islands

Marly era persa nella scatola, evocatrice di impossibili distanze, di perdite e di desideri. Era triste, delicata, in qualche infantile maniera. Conteneva sette oggetti.

Un osso sottile e scanalato, senza dubbio creato per il volo, senza dubbio l’ala di qualche grande uccello. Tre arcaiche schede di circuiti, ricoperte di labirinti dorati. Una sfera di terracotta, bianca e liscia. Un lembo di pizzo, annerito dal tempo. Un frammento lungo un dito di quello che sembrava l’osso di un polso umano, bianco-grigiastro, in cui era inserita l’asta al silicio di un piccolo strumento che un tempo doveva essere a livello della pelle … ma la superficie della cosa era bruciacchiata e annerita.

La scatola era un universo, una poesia, pietrificata ai confini dell’esperienza umana.

Virek è l’uomo più ricco del pianeta, e fornisce a Marly una linea di credito illimitata. Marly dovrà contattare i suoi collaboratori solo nel caso volesse comprare quantità consistenti di beni immobili oppure delle società. Virek le suggerisce comunque di rimanere sulla sua scala di grandezza, per non perdere il proprio intuito. È per quello che lui l’ha assunta. Il lavoro di Marly Krushkhova consiste nel trovare l’artefice delle sette scatole. Può impiegarci tutto il tempo che vuole, volendo anche tutta la vita. È grazie al suo intuito che Marly capirà infine che nulla di ciò che vuole Virek può essere buono.

sergiy krykun count zeroNel frattempo  Bobby Newmark impara qualcosa sulla morte. Bobby, nick-name Conte Zero, è un cowboy, ovvero un hacker del cyberspazio, alle primissime  armi ma molto dotato.  Non appena entra nella Matrice, viene riconosciuto come intruso e rischia di finire bruciato, ovvero di morire per una paralisi supersonica data da un feed-back letale. Perché nel cyberspazio, i dati più importanti e segreti sono protetti da ICE, sistemi difensivi capaci di liberare neurotossine mortali nei sistemi nervosi di chi cerca di introdursi abusivamente . Il suo cuore si ferma per sedici secondi, poi qualcosa  “si sporge dal bordo più lontano di qualsiasi cosa avesse mai sentito o immaginato”, e Bobby torna indietro.  Come imparerà più tardi, chi gli ha salvato la vita è la Vergine dei Miracoli. Il Conte Zero è stato scelto dagli dei del voodoo, per diventare il favorito del Loa più terrificante di tutti.VeveBaronSamedi

I paesaggi di Count Zero costituiscono una potente fonte di suggestione, tanto da avere  un’autonomia che li fa sembrare quasi dei personaggi a sé stanti, capaci in qualche modo di influenzare lo sviluppo della trama.

Ci sono i deserti e le rovine riarse  in cui si muovono i contractor, assieme alle loro macchine belliche ultra-sofisticate. Un mondo devastato e corroso, che circonda la civiltà, e rivela il suo ultimo volto.

C’è la città vista da Marly attraverso il filtro lussuoso del credito illimitato di Virek, che le dà accesso ad alberghi di alto bordo, brasserie, ristoranti in stile italiano con acciaio scuro saldato e tovaglie di lino, marmi lucidi, asciugamani spessi, macchine oscenamente costose. L’archetipo parigino, per intenderci

La città viene vista da diverse prospettive, oltre le sontuose zone centrali ci sono le periferie basse, da cui viene il Conte Zero, piene di casermoni in stile est-europeo, distese di cemento e variopinti teppisti. Infine i Progetti, la zona dei fuoriusciti che ce l’hanno fatta, autarchica ed autonoma a livello di cibo ed energia.

I Progetti si innalzavano oltre la riva opposta, grandi strutture rettilinee, ammorbidite da balconi- serra disposti a caso, vasche di pesci gatto, sistemi di riscaldamento solare, e le onnipresenti antenne paraboliche

I Progetti sono come comuni ricche ed autosufficienti, un’arcologia piena di piante idroponiche. C’è un luogo sacro, con alberi consacrati ai diversi Loa. Ci sono piante medicamentose per gli stregoni. I Progetti sono come un intero, utopistico quartiere a risparmio energetico, in cui risorse e rifiuti si riciclano fra di loro in completa sinergia.  Gli abitanti dei Progetti sono principalmente vuduisti, ed è la benevolenza dei loro dei che li ha portati a risiedere negli in-beetweens più virtuosi, dove possono avere ricchezza ed autonomia senza perdere la loro credibilità di strada.

Poi c’è la vita in orbita, fatta per i super-ricchi, i turisti,  i dissidenti politici. Ma, soprattutto, per i pazzi.


CORPI E SUBCULTURE

Lo sguardo di William Gibson sulle orde giovanili che imperversano nelle periferie e sulle forme di aggregazione settaria dei Progetti ricorda un po’ il saggio Sol Mutante, con le tribù in movimento perpetuo del Giappone contemporaneo, dai nyu-uebu attenti agli stili europei più estremi e crepuscolari, ai safa con lampada perenne e  musica californiana negli auricolari, ai fifitizu con banana impomatata e scarpe a punta. Il gruppo più consistente delle periferie gibsoniane è quello dei Gothick, trasposizione tecnologica dei dark degli anni Ottanta, con i loro paludamenti funerei e le capigliature cotonate.

I Lobe erano più o meno alleati dei Gothick. C’erano almeno una ventina di Gothick in posa nella sala, come piccoli dinosauri, con le creste di capelli laccati che ondeggiavano. La maggioranza si avvicinava all’ideale del Gothick: alti, magri, muscolosi, ma con un tocco di desolata inquietudine, come giovani atleti nei primi stadi della decadenza. Il pallore cimiteriale era d’obbligo, e i capelli dei Gothick erano per definizione neri. Bobby sapeva che i pochi che non potevano adattare i loro corpi alla loro subcultura era meglio evitarli: un Gothick tappo significava guai, un Gothick grasso morte sicura. Li osservò flettersi e luccicare nella sala, come una creatura composita, una forma limacciosa con la superficie a mosaico di pelle scura e borchie di acciaio inossidabile. La maggior parte avevano facce quasi identiche, rielaborate per conformarsi ad antichi archetipi estratti dalle banche kino.”

Poi, come da copione, in contrapposizione ai teppisti, che siano rockers, punk o dark, ci devono essere i fighetti alla moda, mod, preppy o paninari a seconda della collocazione sulla linea spazio-temporale. Nel caso di Gibson, “biondi Kasual, abbigliati con camicie e pantaloni Shinjuko dell’ultima settimana e mocassini bianchi con fibbie dorate.

La subcultura e la moda più interessante di Count Zero è quella dei seguaci voodoo dei Progetti, che mischiano particolari cyber, come le resistenze elettroniche intrecciate nelle acconciature, con abiti decostruiti e costosi ed accessori retrò in stile steam-punk.

“Alla sua sinistra (…)  c’erano due ragazze dei Progetti, con gli abiti in stile barocco e raffinato in netto contrasto con il nero Gothick. Lunghe redingote nere si aprivano su magliette rosse aderenti, di broccato di seta, e su enormi camicie bianche con code che scendevano fin sotto le ginocchia. I visi scuri erano nascosti sotto le falde di cappelli flosci a cui erano attaccati pezzi di oro antico: spille da cravatta, amuleti, denti, orologi meccanici. Bobby le osservò di sottecchi; gli abiti gli fecero capire che avevano soldi, ma che c’era qualcuno pronto a farti il culo se cercavi di prenderglieli.”

Jackie si era tolta il foulard. I suoi capelli erano pettinati in solchi regolari, che lasciavano intravedere strisce di pelle bruna, lucida, con antiche resistenze intrecciate a intervalli irregolari, piccoli cilindri di resina fenolica marrone, con anelli di colori diversi, in codice.

Jackie e Rhea sono come due streghe haitiane, e il loro look piratesco (vent’anni avanti a Jack Sparrow) ben si adatta alla zona temporaneamente autonoma in cui si muovono.Angela Basset as Marie Laveau, American Horror Story 3, Coven


 L’OPERA

Uno dei nostri poli d’interesse, quello che ci ha portato a chiamare il Laboratorio di Via Carteria Cayce’s Lab, è la prospettiva di William Gibson sull’arte contemporanea. Assieme a L’Accademia dei Sogni, Count Zero è un dei suoi romanzi fondamentali in questo senso. In fondo, entrambe le opere ricalcano la medesima trama: una donna con grandi facoltà estetiche alla ricerca di un misterioso artista per conto di un uomo ricco, potente ed eticamente equivoco. Molti personaggi di Count Zero esprimono la loro opinione sulle sette scatole.

Marly Krushkhova è molto coinvolta a livello emotivo, ma non riesce a definire la natura del suo coinvolgimento. È qualcosa che ha a che fare con la nostalgia, la distanza, un senso di perdita temporale ed affettiva, e con l’irreversibilità del passato.

Come aveva potuto qualcuno comporre quei pezzi di spazzatura in una maniera che afferrava il cuore e catturava l’anima come un amo?”

Fissò la scatola. Le faceva male. Le sembrava che la costruzione evocasse perfettamente qualche cosa, ma era un’emozione a cui mancava un nome.

Finn, eminenza grigia del cyberspazio, ricettatore agorafobico e guru del software, mostra tutto il suo pragmatico cinismo.

Quella specie di sculture. Me ne ero dimenticato. Immagino che le facesse lui. (…) Gli ho chiesto, e questo che cazzo sarebbe. (…) Era grande circa come una piastra, quella roba, spazzatura dentro una scatola… così l’ho messa dietro quella cassetta piena di pezzi di ferro e non ci ho più pensato, finchè il vecchio Smith, che si occupa di cose artistiche, non la vede e dice che la vuole. Ci mettiamo d’accordo. Se ne trovi delle altre, Finn, mi dice, procuratele. Ci sono dei coglioni in città che vanno matti per stronzate come questa.”

Wigan Ludgate, leggendario cowboy in pensione, matto come un cavallo a causa della sua prossimità con i misteri della matrice, ha dalla sua tutto l’intuito dato dalla pazzia.

Le scatole! Vengono dalla mano di Dio!”

Paco, l’ambiguo braccio destro di Virek, si esprime in generale sull’arte contemporanea dicendo di avere la sensazione che essa sia “un trucco. Un inganno.

Marly Krushkhova arriva infine nel ventre della balena, dove incontra l’artefice. L’artefice si si trova nel relitto della banca dati del clan Tessier-Ashpoole, una ricchissima famiglia di magnati incestuosi, ora in rovina.

C’erano dozzine di braccia, manipolatori con all’estremità pinzette, cacciaviti, coltelli, una sega circolare in miniatura, un trapano da dentista… Spuntavano tutte da un torace in lega di quello che un tempo doveva essere stato un robot da costruzione, il tipo di macchina semiautomatica che conosceva fin da bambina dai video della frontiera spaziale. Ma questo era saldato all’apice della cupola, i fianchi fusi con le strutture del Posto, e centinaia di cavi elettrici ed ottici serpeggiavano dalla cupola per entrarvi. Due delle braccia, con delicati congegni reattivi, erano allungate; i morbidi cuscinetti circondavano una scatola in costruzione. Con gli occhi spalancati, Marly osservò gli innumerevoli oggetti volarle accanto. Un guanto da bambino ingiallito, il tappo in cristallo sfaccettato di una boccetta di profumo svanito, una bambola senza braccia con la faccia di porcellana francese, una grossa penna stilografica nera, rifinita in oro, segmenti rettangolari di cartoncino perforato, il serpente spiegazzato, rosso e verde, di una cravatta di seta… infinito, lo sciame lento di cose roteanti.”

L’artefice è una macchina, arcaica e parzialmente analogica. Sembra una grossa piovra meccanica, ubicata nelle estreme profondità del relitto. Il procedimento artistico per Gibson avviene all’interno di un laboratorio alchemico in assenza di gravità, dove tutto fluttua e rotea con movimento incessante.

Marly stava fissando i manipolatori , ipnotizzata dal modo in cui si muovevano; il loro frugare fra il turbine di oggetti ne era anche la causa. Gli oggetti scartati roteavano lontano, ne colpivano altri, davano luogo a una nuova disposizione. Il processo li agitava dolcemente, lentamente, perennemente.

La macchina è mossa da una IA, la stessa Intelligenza Artificiale deputata a sovrintendere al data-base della famiglia Tessier-Ashpool. L’IA, connessa alla memoria digitalizzabile del clan, pesca fra i resti oggettuali di ciò che sono stati, ed assembla le scatole. La macchina è senziente, e Marly riesce a parlarle. Le chiede il motivo della tristezza insita nelle sue opere

Le mie canzoni parlano del tempo e della distanza. La tristezza è in te. Guarda le mie braccia. C’è solo la danza. Queste cose che tu giudichi tanto preziose sono gusci.

La figura dell’artista viene rappresentata in un fondale di desolata, siderale solitudine, e come altro radicale rispetto all’essere umano. Non più uomo, ma macchina. Morbida macchina, disperatamente celibe. L’artefice è un replicante che lavora su banchi dati di memoria. La tristezza a cui Marly cerca di dare un nome è probabilmente il sentimento catalogato dai filosofi tedeschi romantici come Heimveh, ovvero lo struggimento per ciò che è finito, un mix composito di nostalgia e desiderio verso qualcosa che non si può avere, di cui il passato costituisce la metafora più calzante. In questo caso, il passato è la memoria dello splendore e del fasto del clan Tessier-Ashpool, di cui non rimane più niente. La loro ricchezza è perduta, i  membri della famiglia sono morti o impazziti, restano solo i detriti delle loro cose. La IA cerca di rievocare il tempo perduto solidificandolo in simboli, frammenti reali di ciò che è stato, che vanno a comporre iconiche geometrie. Il supporto della scatola mostra l’impenetrabilità di questa dimensione, la sua non tangibilità, il fatto che non si può raggiungere fisicamente, ma si può solo contemplare e rievocare da lontano, proprio come la memoria. Nonostante l’esito positivo della ricerca di Marly, il mistero delle scatole rimane da ultimo ineffabile.

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Pubblicato sul numero zero della fanzine cartacea autoprodotta Unknown Pleasures, grafiche Francesca De PaolisFanzine Unknown Pleasures, numero zero, Count Zero, grafiche Francesca De Paolis Fanzine Unknown Pleasures, numero zero, Count Zero, grafiche Francesca De Paolis2 Fanzine Unknown Pleasures, numero zero, Count Zero, grafiche Francesca De Paolis3  Fanzine Unknown Pleasures, numero zero, Count Zero, grafiche Francesca De Paolis 5 Fanzine Unknown Pleasures, numero zero, Count Zero, grafiche Francesca De Paolis 6 Fanzine Unknown Pleasures, numero zero, Count Zero, grafiche Francesca De Paolis 7 Fanzine Unknown Pleasures, numero zero, Count Zero, grafiche Francesca De Paolis 8Fanzine Unknown Pleasures, numero zero, Count Zero, grafiche Francesca De Paolis 4


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