Il metodo per attirare le folle consisteva dapprima nell’esporre gli orrori per mostrarli, cosa che fino al XVI secolo in Francia si chiamava “la mostra”.
Toni Negri, Desiderio del Mostro
Monstrum, monstri : segno divino, prodigio, da monere: avvisare, ammonire, manifestarsi improvviso di qualcosa di straordinario, divino, che viola la natura e che è ammonimento e avvertimento per l’uomo. Nel diritto romano, la locuzione latina monstrum vel prodigium, letteralmente “mostro o prodigio”, indica un neonato tanto deforme da avere sembianze più simili agli animali che agli uomini. Secondo una definizione di Giulio Paolo “non sunt liberi qui contra formam humani generis converso more procreantur” (“non sono considerati figli coloro che nascono con sembianze diverse da quelle umane”). Ai fini del diritto, dunque, il monstrum vel prodigium era considerato come se non fosse mai nato e, pertanto, era privo di capacità giuridica.
Wikipedia. Org
Il mostro non esiste agli occhi di Dio
Montaigne
Teratorologia, dal gr. τέρας “mostro, prodigio, segno ” e λόγος “discorso”), studio delle mostruosità o delle anomalie morfologiche dell’intero individuo o di parte di esso, prendendo questi termini come sinonimi di gradi più o meno avanzati di una deviazione di forma dal tipo fondamentale di una specie
Enciclopedia Treccani
La gente ha bisogno di un mostro in cui credere. Un nemico vero e orribile. Un demone in contrasto col quale definire la propria identità. Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi.
Chuck Palahniuk, Cavie, 2005
You’re such a beautiful freak
I wish there were more just like you
You’re not like
All of the others
But that is why I love you
Beautiful freak
Beautiful freak
The Eels
Non capisco perché tutti quanti continuano insistentemente a chiamarmi Donatella, uoh oh oh oh bella.
Donatella Rettore
La accettiamo è una di noi! La accettiamo è una di noi!”
Coro dei Freaks, Tod Browning
« Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me? »
Jorge Luis Borges, La Casa di Asterione
L’Angelo che ci porterà fuori da questa miseria potrà solo essere mostruoso: per questo lo riconosceremo.
Toni Negri, Desiderio del Mostro
Per motivi che indagheremo senz’altro, i mostri sono parenti stretti dei morti. Quindi, per celebrare il Giorno Che Non Esiste, Cayces’ Lab raduna ed ospita una parata di freaks che va a coprire come minimo cinque secoli di storia. Dalle tassonomie chimeriche di Ulisse Aldrovandi alle wunderkammer barocche, dalle teratologie illuministe fino alle mostre delle atrocità a cavallo fra Diciannovesimo e Ventesimo Secolo, approderemo ai mostri autopoietici contemporanei in stile La Morte Ti Fa Bella, vigoressici, tanoressici e compulsivi, generati ma non nati a suon di chirurgia, botulino e steroidi. I mostri assomigliano ai morti, e qualcuno potrebbe crudelmente dire che è perché sono brutti quanto un cadavere. Ma noi alla crudeltà preferiamo la teratofilia, la necrofilia, e la filosofia. E proprio i francesi, che sono i nostri filosofi preferiti, dicono che morti e mostri si assomigliano perché sono dei fuorilegge, degli outsider banditi dalla società degli uomini. I mostri e i morti ci fanno paura, perché ci dicono quel che non vogliamo accettare, che siamo o che diventeremo come loro.
I mostri sono tantissimi, e i saggisti ci consigliano di scegliere. Ma non possiamo esimerci da una breve storia della percezione del mostro.
Gli esseri umani della protostoria, privi di agi, si rendono perfettamente conto dei loro limiti, delle loro carenze costitutive, del fatto che sono deboli, non sanno volare, uccidere prede più grandi di loro a morsi, né nuotare negli abissi, quindi cercano di integrare le loro mancanze con facoltà animali. L’arte preistorica abbonda di figure sciamaniche, sirene squamate o alate, paredri cornuti e mostruose Dee Uccello, Dee Serpente, Dee Orsoibrid e Dee Avvoltoio.
I greci, invece, più civili e fighetti, sviluppano l’ossessione dell’analisi, della distinzione, e quindi hanno orrore degli ibridi. Li considerano immondi. Soprattutto gli aristotelici. A Sparta i neonati deformi hanno in sorte l’abbandono alla morte sul monte Taigeto. Per gli antichi romani invece sono delle non-persone, e quindi negano la loro esistenza fin dalle basi giuridiche del diritto. Durante i Secoli Bui, in particolare quelli rinascimentali, la situazione dei piccoli mostri non migliora: possono rischiare di finire sul rogo poco dopo il parto, assieme alla madre, essendo chiaramente frutto di mercimonio col diavolo. Il mostro è religiosamente destabilizzante, perché può addirittura rappresentare la confutazione di Dio. Nonostante questo, l’epoca barocca inizia a sviluppare un piacere morboso nei confronti del mostro, come testimonia Frederick Ruysch, brillante anatomista e sezionatore di cadaveri, che accumula un’enorme collezione di bizzarrerie mediche, allestite in orripilanti allegorie e Totentanz.
Pietro il Grande è ossessivamente teratofilo, acquista la collezione Ruysch in blocco e agli inizi del Settecento arriva ad emanare una legge che costringe i genitori di figli malformati a consegnare i neonati alle autorità, per la sua personale collezione, sia sotto-vetro che dal vivo. A questa temperie fa riferimento la tassonomia teratologica dell’artista Marina Burani, che crea una collezione di teschi da cattedrale barocca, neri e pieni di ombra. Tanti crani, e la maggior parte sono privi di anomalie. Ma non tutti. I mostri spiccano per la loro eccezionalità mitologica. C’è l’uomo pesce, con una vistosa cresta ossea, una cavità orale ellittica e priva di denti e un anello cartilagineo dietro la testa. Abbiamo un teschio con quattro cavità orbitali, per due meravigliose, mai viste paia di occhi, magari di colori diversi, da ammirarsi in vita. Abbiamo un abnorme ciclope e un cranio con una malformazione impercettibile, che pare una maschera da indossarsi a piacere. I teschi deformi di Marina Burani evidenziano proprio il parallelismo anarchico che c’è fra i mostri e i morti. I mostri destabilizzano etica ed estetica, sfidando uno dei nomi di Dio, ovvero Natura. I morti confutano l’impero dei vivi, la nostra ideologia fanatica dell’eterna giovinezza e il nostro ostinarci a credere di essere in fondo immortali.
Storicamente, i mostri iniziano il loro percorso di recupero nel Settecento, quando vengono analizzati, studiati, classificati dal razionalismo illuminista, in quella che George Canguilhem chiama “naturalizzazione del mostro”. La vertigine del sublime romantico guarderà a loro con una nauseata ammirazione, come testimonia la produzione letteraria di Victor Hugo, con i suoi campanari deformi e uomini dall’eterno sorriso. Nell’Ottocento la teratologia diventa una specializzazione scientifica, che nasce in Francia all’inizio del XIX secolo, con il trattato del naturalista Etienne Geoffroy Saint Hilaire.
Nello stesso periodo, le collezioni di oddities di storia naturale diventano accessibili anche ai borghesi. I nobili perdono l’egemonia sul mostruoso e quindi gradualmente anche il suo gusto. Con la massificazione ha luogo la spettacolarizzazione. Nascono i circhi e i loro sideshows. E proprio qui possono essere inseriti i freak di Alessio Bogani, che emergono dalle ombre delle fiere e dei luna park. Bogani dedica una tela a Daisy e Violet Hilton, due gemelle siamesi pygopagus, unite dai fianchi e dai glutei, molto belle e nate all’inizio del Novecento. Violet e Daisy si esibiscono assieme a Rosa e Josefa Blazek, altre due gemelle siamesi, in una combo quadrupla mai vista fino a quel momento. Sono amiche di Bob Hope e Harri Houdini. Dopo essersi emancipate dai loro rapinosi tutori, partecipano nel ruolo di se stesse al cult movie Freaks!, di Tod Browning. Fanno una carriera fulminante nello show business, tanto che quando arriva la fatale decadenza, non posseggono altro che vestiti da scena, con cui si ritrovano a lavorare in un chiosco di hot-dog. Daisy e Violet Hilton muoiono alla fine degli anni Sessanta a causa dell’influenza cinese, alcuni dicono a distanza di due giorni una dall’altra.“Ho visto in certi mostri un’interiorità di una grazia e di una eleganza così sorprendente che non ho alcun dubbio che la natura avesse l’ obiettivo della bellezza quando ha costruito questi corpi” diceva Caspar Friedrich Wolff, l’anatomista di San Pietroburgo.
Sicuramente nei circhi e nei freakshow ci saranno stati frequenti episodi di sfruttamento. Del resto questa è la norma degli esseri umani, ogni volta che hanno a che fare con degli esseri viventi più deboli di loro. Ma, tolto il contributo umano, a livello di pura struttura, il freakshow era onesto. Le anomalie congenite dei freaks, totalizzanti e spesso causa di invalidità, diventavano la fonte della loro sussistenza, il loro talento speciale. Un freak sicuramente conosce il peso degli sguardi dei normo-formi. Loro guardano sempre, almeno che paghino per farlo, e che, una volta pagato, lo facciano con coraggio, dritto negli occhi. D’altra parte, la fruizione dei freakshow da parte dello spettatore, quel particolare brivido, ha a che fare con l’euforia, la scarica adrenalinica da videogioco o da effetto speciale, cara alle estetiche postmoderniste. Interpretazioni più arcaiche suggeriscono che paura e piacere sono gli ingredienti base dello spettacolo. Poi c’è il voyeurismo del dolore, un’altra costante dello spettacolo, e i freaks sono esseri che non possono non soffrire.
Bogani utilizza frammenti di legno antico per creare gioielli recanti le effigi fantastiche di Ulisse Aldrovandi, riprodotte nel suo trattato postumo Monstrorum historia cum Paralipomenis historiae omnium animalium. Il grande naturalista bolognese, che ci è simpatico anche perché ad un certo punto della sua carriera fu costretto ad abiurare dalla Chiesa, crea degli innesti impossibili, dei cut up surrealisti, mischiando gli scherzi della natura con le visioni da belladonna e giusquiamo, classificando creature mitologiche che sembrano volate giù dai doccioni della cattedrale di Notre Dame, o dagli incubi visivi di Hieronymus Bosch. Rudolf Virchow, sommo patologo e direttore del Museo di Anatomia di Berlino, durante sue visite guidate condite di satira politica e sociale, allude sottilmente al fatto che la sua collezione funzionava come uno specchio per i difetti degli spettatori. I nazisti fanno chiudere il suo museo ed anche i freak-show, sostenendo l’argomentazione morale dello sfruttamento, per far sparire i mutanti dallo spazio pubblico e sterminarli nelle camere a gas. Nessun mostro poteva essere ammesso per il canone di perfezione genetica ariana, e nessuna mostruosità doveva fare concorrenza a quella nazista.Dopo essere stati censurati tramite la sparizione nelle strutture ospedaliere, ora i mostri in qualche modo piacciono molto. Pertanto, dice Toni Negri, vengono prodotti. O meglio, autoprodotti. Davide Ingrami raduna delle creature che si sono auto-mostrificate, inseguendo degli ideali di bellezza standardizzati, esasperandoli talmente tanto da farli rovesciare nel loro contrario. Dovrebbe avere l’aspetto di una signora molto sofisticata, veicolare un’idea di edonismo ed eleganza, eppure è troppo bionda, troppo turgida, troppo abbronzata. Non vogliamo diffamare nessuno, ma Donatella Versace ha oggettivamente delle labbra pneumatiche da canone transessuale, una capigliatura che sembra una parrucca, e un colorito che sembra tradire i sintomi di una nuova patologia emergente, la tanoressia, ovvero l’ossessione per l’abbronzatura. Davide Ingrami la colloca in uno sfondo a mosaico glitterato, drappeggiata e circondata di broccati a colori contrastanti, emblema del kitsch più o meno subliminale che è la quintessenza dalla sua casa di produzione. Ma d’altra parte, il mostro non è certo quello che potremmo definire un campione di buon gusto. Britney Spears, con le sue fluttuazioni di peso da fenomeno da baraccone, la verginità sbandierata, il gusto atroce dei suoi vestiti, gli abusi di droga e il sostegno alla destra americana, è un mostro di mediocrità molto potente. La vediamo ritratta nel celeberrimo scatto fattole dopo che si fece ricoverare in clinica di recupero nel 2007, con gli occhi sbarrati, i lineamenti contratti, e la testa rasata come Giovanna D’Arco al rogo, o come chi, in un raptus di eccitanti, vorrebbe evitare l’analisi tossicologica del capello per riuscire a tenere la custodia dei figli. Le piccole Miss America, vestite e truccate come meringhe in odore di prostituzione minorile, fra i freak canonici potrebbero essere la caricatura delle nane, alte come bambine ma conciate come delle adulte. Davide Ingrami dipinge un mostro per eccesso, un culturista ipertrofico che sembra l’incredibile Hulk, circondato da una tappezzeria fiorita Biedermeir molto femminile, che potrebbe alludere velatamente alle disfunzioni erettili causate dall’abuso di steroidi. Il limite fra perfezione e mostruosità è molto sottile. Divina per gli uomini del Paleolitico, ridicola per i greci, l’obesità è uno status symbol fra gli alti funzionari medievali e rinascimentali, tanto che Enrico VIII ostenta le sue enormi dimensioni nei ritratti, come anche le modelle di Rubens. Ora invece, l’obesità è considerata un problema di salute pubblica ed affligge quattrocento milioni di adulti. Ma la donna cannone di Davide Ingrami, a questo problema, risponde con un eloquente dito medio. Nella nostra parata non poteva mancare la Duchessa Cayetana d’Alba, la donna più titolata del mondo, che fa esporre il comunista Pablo Picasso durante la dittatura di Franco, e si sposa più volte, perfino con dottori in teologia o uomini che potrebbero quasi essere suoi nipoti. Vedendola con il costume tradizionale della Feria spagnola, mentre passeggia in bikini sulla spiaggia di Ibiza esponendo i lacerti flaccidi del suo corpo da ultra-ottantenne, guardandola mentre ride deformata dalle plastiche o scende dalla macchina facendo intravedere collant di pizzo e mutandine, proviamo il primo sentimento che dovrebbe suscitare il mostro. La paura.
Deleuze in Differenza e Ripetizione tratta il mostruoso come una figura di libertà, mentre Toni Negri sostiene che la mostruosità dovrebbe essere rivoluzionaria. Generare scandalo è la funzione dell’arte secondo Pasolini, la messa in discussione dei valori anche estetici. Ma questi mostri contemporanei non sono rivoluzionari, ma talmente allineati a degli standard fascisti di bellezza da essersi trasformati in mostri senza nemmeno rendersene conto. L’unica che potrebbe salvarsi è l’obesa, ma anche lei in fondo è conforme all’accettazione supina e distruttiva del canone dominante di ignoranza alimentare.
Se l’etimologia di mostro viene da monstrare, il mostro è ciò che mostra. Insomma, che cosa mostrano, tutti questi nostri mostri? È molto semplice, indicano noi. Noi che non vogliamo invecchiare, che vogliamo un corpo in fondo stereotipato, indistruttibile, noi che rifiuteremo sempre di visualizzare il momento della nostra morte. I mostri ci guardano, ci ricordano tutte le volte che ci siamo sentiti brutti, diversi dagli altri, rifiutati, derisi, esclusi. Ci rivelano che il mostro siamo noi. E ci offrono di farci capire che tipo di mostro siamo, permettendoci di usare loro come specchio.
Testo critico e curatela della mostra “I Mostri”, inaugurazione 26 ottobre 2013 presso Cayce’s Lab.
Bibliografia
AA.VV., Desiderio del mostro. Dal circo, al laboratorio, alla politica. Manifesto Libri, 2001.
Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina editore, 1997.
Leslie Fiedler, Freaks. Miti e immagini dell’io segreto, Il Saggiatore Tascabili, 2009.
http://morbidanatomy.blogspot.it/2010/01/announcing-new-virtual-museum-dedicated.html