Quello che hai appena finito di dettarmi è il ‘segreto’. Ciascun Arcano, essendo uno specchio e non una verità di per sé, si tramuta in quello che tu ci vedi dentro. Il Tarocco è un camaleonte
Leonora Carrington, poetessa e pittrice surrealista
La parola “Arcano” è congiunta etimologicamente con arca, ovvero cassa, armadio, scrigno, indica qualcosa che è nascosto, dal greco arkèo, proteggo, con la derivazione latina arcanus, nascosto, oppure che nasconde. Arcano è l’esatto contrario di Trionfo, qualcosa che si mostra, un’epifania, una rappresentazione visibile, ma entrambe le parole possono essere usate per indicare le ventidue carte maggiori dei tarocchi.
L’origine dei tarocchi è controversa. C’è chi li fa nascere in Cina, chi in India, chi ad opera di zingari, rosacrociani, mistici della Qabbalah, o di Ermete Trismegisto. Alejandro Jodorowsky osserva che la stessa etimologia della parola è problematica: “La parola Tarocco, “Tarot”, sarebbe egizia (tar: sentiero; ro-rog: regio), indo-tartara (tan-tara: zodiaco), ebraica (tora: legge), latina (rota: ruota; orat: parla), sanscrita (tat: il tutto; tar-o: stella fissa), cinese (tao: principio indefinibile), e così via”.
La verità è che la loro origine si perde nella notte dei tempi, e nessuno può risalirvi con certezza. Sono senz’altro un sistema sapienziale.
I tarocchi di Gelso Nero sono in carta d’argento, come il silver-screen su cui sfavillavano i primi film muti. Nel retro delle carte c’è un motivo sospeso fra l’Art Nouveau di Alfons Mucha e le curve nette e simmetriche del Decò. Questo elemento decorativo si sarebbe perfettamente amalgamato negli ambienti delle prime sale di proiezione, come il Capitol o il Roxy Theatre di New York, vere e proprie cattedrali del cinema, fastose, decadenti e adorne come regge. La decorazione fitomorfa è visibile nella parte interna di due cerchi uniti, in un simbolo che rappresenta il legame, e che negli alberi genealogici è usato spesso per indicare il matrimonio. Il significato del cerchio singolo rimanda allo spirito della vita, all’ essenza umana, all’ individuo reale, alla verità. Intersecandosi con un altro cerchio mostra l’unione dell’individuo con una dimensione altra, quella profetica, simbolica, l’universo che sta dentro lo specchio d’argento, dove si uniscono arte, magia, visione.
E anche narrazione, perché i ventidue Arcani maggiori configurano un viaggio. Gli Arcani maggiori di Gelso Nero travalicano e spesso sembrano contraddire il significato tradizionale delle carte dei tarocchi, dando al viaggio una prospettiva inedita, che fonde la contemporaneità con l’atemporalità.
Preparatevi ad una dose massiccia di simbologie intersecanti, e al fatto che a noi e a Gelso Nero l’ortodossia dei Trionfi interessa relativamente poco. Per i puristi dell’ortodossia, se pur esiste, consigliamo la contemplazione dei tarocchi marsigliesi.
Arcano senza numero: il Matto
Il Matto di Gelso Nero è una danzatrice sovietica degli anni Venti, Ludmilla Speranzewa, prima ballerina del Bolshoj. Fianchi larghi, scarpe col cinturino, berretto a sonagli come le donnine di porcellana delle bomboniere. In mano ha un abnorme lecca-lecca ricurvo a strisce rosse e bianche, da fabbrica di cioccolato, e il suo nume tutelare è un cucciolo di gatto, con gli occhi sgranati come lei. Il piccolo felino si gira avvitandosi su se stesso, pieno di curiosità e pronto allo slancio. Il Matto rappresenta l’atto di precipitare nel mondo dell’esperienza, splendendo della follia bianca dell’infanzia. È l’essenza del protagonista archetipico del romanzo di formazione. In questa carta c’è gioco, danza, innocenza, una sessualità acerba, agghindata in maniera ammiccante e bislacca, e l’arma contro i mali del mondo, una quantità di zucchero da stati di coma. E anche una sottile inquietudine, tradita dalla contrattura nel sopracciglio della ballerina.
Primo Arcano: il Bagatto
Il Bagatto è un personaggio che riunisce il Mago, l’Artigiano, e il Giocoliere. Il Mago e l’Artigiano sono accomunati dal fatto di saper trasformare la materia, facendola diventare altro, e per farlo devono riuscire a piegarla al loro volere, rimanendo sempre in bilico fra successo e fallimento. Questo li accomuna al Giocoliere. Per conquistare la pietra filosofale, o la ricchezza, il Mago e l’Artigiano devono riuscire ad incantare gli astanti, esattamente come fa il Giocoliere. Nella carta, il Bagatto ha una grande bacchetta magica di legno grezzo, che rappresenta il talento, e il tavolo da lavoro, che rappresenta la fatica. Sul tavolo ci sono i soldi e la coppa, simbolo di soddisfazione finale ma anche di passione, sia nell’accezione positiva, di amore fedele per una pratica, sia in quella negativa, di calvario e sofferenza. Infine c’è il coltello, perché il Bagatto non può fare nulla senza la giusta dose di crudeltà. La sua aureola è il simbolo dell’infinito, come infinito deve essere il suo esercizio. La base dell’incantesimo è costituita dalle lettere, che roteano intorno alla testa del Bagatto e vanno a formare le parole, strumento definitivo per ogni creazione, e soprattutto per la collocazione della creazione nel mondo.
Secondo Arcano: la Papessa
La Papessa siede in posa maliarda, con la spalla scoperta, su un trono che è una sedia Emmanuelle di rattan e bambù intrecciato. Perché la conoscenza è un attributo erotico in larga parte ignorato nella nostra civiltà, ma che gli allievi di Socrate conoscevano bene. Il Rgveda Samhita sostiene che “Per primo si sviluppò il Desiderio, che fu il primo germe del Pensiero.” Solo il desiderio spinge l’essere umano ad andare avanti nel suo iter conoscitivo. Sotto alla Papessa sta un codice antico scritto a caratteri gotici, preziosamente rilegato con cornici intarsiate e cerniere. Il suo contenuto cambia tutte le volte che viene aperto e letto, come succede con i libri reali, con il libro del mondo e con il libro della memoria. Sembrerebbe il contrario, ma scripta volant, assieme al flusso di ogni altra cosa. Assieme alle parole e al libro, l’altro attributo della Papessa sono le immagini impresse nelle bobine cinematografiche, di cellulosa facilmente infiammabile, che stanno ai suoi piedi nei vecchi contenitori metallici dell’età del muto. Il secondo Arcano mischia dispositivi di memoria, visione, desiderio, eros e conoscenza.
Terzo Arcano: l’Imperatrice
L’Imperatrice indossa scarpe di raso a punta, bustino, un copricapo in stile russo-bizantino che in realtà è una grande coda di pavone. Porta al fianco una spada e ha quattro braccia, come Kalì, la dea della distruzione divoratrice ed ematofaga, la guerriera assassina di demoni, che in una mano regge una spada, e nell’altra una testa maschile mozzata. Il braccio è simbolo di potenza, di capacità di fare, sia in senso creativo che distruttivo. Il pavone rappresenta la forza che nasce dall’autoconsapevolezza, la sua coda che si apre è come la potenza aurorale del sole. Il pavone, del resto, era il simbolo dell’Imperatrice nella corte di Bisanzio. Nella carta, l’Imperatrice tiene la spada a tracolla dietro la schiena, come una sacerdotessa della testa mozzata, Salomè, Giuditta e tutte le loro perfide sorelle dell’arte simbolista. Il simbolo dipinto ai lati della figura, le due linee curve che si avvicinano, appare negli antichi ideogrammi cinesi con il significato di dividere, fendere, spaccare. Il terzo Arcano ci insegna che la bellezza è un’arma di distruzione, perché la bellezza provoca amore e l’amore annichilisce ogni cosa, cancellando lo status-quo e la vecchia personalità dell’innamorato.
Quarto Arcano: l’Imperatore
L’Imperatore ha il volto del padre fondatore della letteratura americana, Mark Twain. Avventuriero proteiforme, Mark Twain è stato pilota di battello, viaggiatore, giornalista, minatore, volontario nella guerra di secessione, disertore, cercatore d’oro. Si è spostato per terra, sull’acqua, sotto la terra, negli universi simbolici e in quelli più duramente materiali. È stato ferocemente antireligioso, antirazzista, amico di Tesla, massone, fine umorista e misantropo. Dall’aspetto imponente e regale, con sguardo vivo e baffoni da tricheco, Mark Twain era dotato di un profondo senso di giustizia, che gli fece sostenere posizioni a favore dell’emancipazione delle donne, a sostegno alle minoranze, contro la vivisezione, lo specismo, il razzismo e l’imperialismo americano, tanto da venire censurato e ostracizzato dal mondo della cultura e della politica. Twain sarebbe stato un ottimo imperatore. Nella carta, appare davanti allo scudo crociato degli eroi sauroctoni, lo stesso del megalomartire San Giorgio. La croce latina è simbolo del mondo occidentale, e risale a molto prima di Cristo. È un’insegna del dio solare Apollo, che la donò ad Ermes, il dio psicopompo del logos, dell’eloquenza e delle transazioni, che ne fece il suo caduceo. Ancora prima, era il simbolo di Anu, il dio babilonese del cielo. Quindi simboleggia l’universalità dei domini imperiali. Lo scudo con la croce rappresenta la vittoria, la sconfitta degli avversari che impediscono di conquistare il tesoro. L’avversario, il drago, è sempre dentro la testa dell’eroe, è ciò che riporta indietro, ciò che si morde la coda, l’ombra che si nasconde e va affrontata per sconfiggere la morte. Il drago rappresentava la regalità presso i celti, e per i cinesi era il simbolo dell’Imperatore stesso. Solo la sua apparizione portava alla fondazione di regni felici.
Quinto Arcano: il Papa
Il Papa si staglia davanti alla ferula pontificalis, la croce tripla sulla sommità del suo bastone patriarcale, signum regiminis et correctionis, ovvero il simbolo del potere temporale dei pontefici, della punizione e penitenza, usato per l’apertura della porta santa. Questo Papa indossa un elegante completo nero, con guanti, cilindro e bastone da passeggio, la stessa mise che potrebbe aver portato Jack lo Squartatore. Sorride in maniera viscida e sui suoi occhi c’è la banda della censura, usata nelle immagini oscene per criptare l’identità. Questo significato sessuale emerge anche dalla giustapposizione della figura maschile con i due piccoli cloni di Louise Brooks. Il Papa di Gelso Nero è connotato nei crismi dell’eleganza, della vecchiaia, del potere, e della predazione sessuale.
Sesto Arcano: l’Innamorato
L’Innamorato, con gambe lunghe come trampoli, si trova su un bivio fra due oggetti d’amore, una donna altera, con abito lungo da serata all’opera e acconciatura perfetta, e una donna discinta, con i capelli sciolti e la testa reclinata verso il basso. In realtà, questa potrebbe benissimo essere la stessa donna, vista in due prospettive. Quella diurna, idealizzata, perfetta ed irraggiungibile, e quella notturna, immateriale e terribilmente fisica, che muove a nostro piacimento quella reale, e ce l’avvicina fino alla sfocatura.
Come diceva nel Dodicesimo secolo Andrea Cappellano nel De Amore, il fenomeno dell’innamoramento si scinde in due momenti, la visione reale della persona, in cui ci appare bella, gelida, e in qualche modo inerte, e il momento caldo dell’immaginazione, in cui fantastichiamo sui modi per arrivare a possederla. La fisicità misteriosa del cuore, dell’inspiegabile richiamo della bellezza, e le ebbre, folli elaborazioni del cervello.
Settimo Arcano, il Carro
Simbolo di forza e di potestà, mezzo di controllo territoriale, nella carta di Gelso Nero il Carro si trasforma in un carro armato israeliano, il Merkavà. Questo mezzo corazzato prende il suo nome dalla Qabbalah, costituisce l’acme della mistica degli Hekhalòt, e mostra all’adepto la potenza terribile del carro di Adonai Tzevaoth, il Dio degli Eserciti. La Merkavà è anche il mezzo del rapimento estatico. La Merkavà riguarda il viaggio dell’anima del mistico attraverso i sette Hekhalòt, i palazzi attraverso cui passano anche le anime dei morti. Per intraprendere il viaggio, il cabalista deve digiunare per quattordici giorni e ripetere all’infinito delle litanie con la testa fra le ginocchia, finchè non viene rapito. A guardia di ognuno dei sette Hekhalòt stanno gli Arconti, i principi della maestà, del timore e del tremore. Gli Arconti amano confondere il senno, invitano ad entrare per poi gettare l’iniziato in torrenti di lava infuocata. Intorno alla porta del sesto palazzo sembra che ci siano centinaia di migliaia di milioni di onde d’acqua che cadono addosso al mistico. In realtà non c’è nemmeno una goccia. Nella mistica degli Hekhalòt, la visione finale di Dio è introdotta da una voce che risuona “come il suono di correnti di molte acque, come la voce del mare infuriato, come le onde dell’oceano quando soffia il vento del sud.” Nella carta, il territorio su cui si muove il Carro Merkavà si trasforma negli abissi fatati di Georges Méliès, come sembrano suggerire le due polene a forma di cavalluccio marino e l’antico scafandro che ricopre la donna alla guida.
Ottavo Arcano: la Giustizia
La Giustizia è una donna che porta la bilancia sulle spalle, come i condannati alla crocifissione dovevano portare lo stauròs, il palo su cui sarebbero stati legati, fino al luogo dell’esecuzione. Non è bendata, bensì velata, come una sposa, o incappucciata, come un boia, a seconda che sia benigna o maligna. Nel suo ventre è conficcato un omuncolo, con braccia e gambe corte e tozze come chi è affetto da nanismo. I nani sono creature ctonie, spesso fabbri di spade (la spada è un attributo tradizionale della Giustizia), rappresentano forze oscure, e sono guardiani di segreti e tesori. La bilancia raffigura l’equilibrio fra le polarità, il mantenimento di un ordine che poco ha a che fare con il bene. Non a caso le Eumenidi, i numi greci della giustizia, esigevano in olocausto le pecore nere, simbolo di ciò che è difforme rispetto alla norma. La figura che impersona la Giustizia è Billy Lodgeson. Margurete Clarck e Billy Lodgeson erano la stessa persona, un ermafrodito, o forse una drag queen di fine anni Quaranta, che fingeva di avere un gemello parassita. Questa Giustizia è deforme come un freak. È una Giustizia che apre le braccia con gesto da Madonna misericordiosa, ma porta sempre lo spettro del patibolo, della punizione ingiusta, della finzione, della rappresentazione fallace, dell’errore.
Nono Arcano: l’Eremita
Anche l’Eremita, come la Giustizia, è un freak. Un essere contraddittorio, con un abito lungo e una fluente barba che si unisce con la peluria facciale dell’ipertricosi. Alice E. Doherty era una donna lupo nata alla fine dell’Ottocento, completamente ricoperta fin dalla nascita da una setosa pelliccia bionda. Questo prodigioso mostro guarda lo spettatore con sguardo malinconico. Il mondo è così crudele, deludente, poco interessante che l’Eremita abbraccia ciò che gli altri uomini fuggono come la morte, ovvero la solitudine, e, come dice il suo nome, va a vivere nel deserto. Alla ricerca della pienezza, dell’intensità, della totalità tramite paradossali metodi di sottrazione. I padri e le madri del deserto abitavano dentro le grotte, sopra a colonne, avevano la sola compagnia degli animali selvaggi, i leoni, i corvi che li nutrivano, le visioni lascive che venivano a tentarli, ma che non potevano soddisfarli. La lanterna ai piedi dell’Eremita rappresentala ricerca che si intraprende nel buio e l’illuminazione a cui si arriva dopo la catarsi della sofferenza. La nube sopra la sua testa rappresenta allo stesso modo l’epifania, la rivelazione finale di Dio, che l’occhio di amma, la madre del deserto, non potrebbe sostenere senza uno schermo.
Decimo Arcano: la Ruota
La Ruota è sormontata da due solidi geometrici complementari, la sfera e la piramide. La sfera rimanda al mondo celeste. Gli uomini sono abituati fin dalla notte dei tempi a vedere la sfera del sole e quella della luna muoversi attraverso il cielo, configurando la ruota del tempo, il ciclo dei giorni, dei mesi e delle stagioni. La piramide rappresenta il potere, è l’edificio sacro per eccellenza, dalle tombe faraoniche dell’Egitto alle ziggurath a gradoni della Mesopotamia e delle civiltà precolombiane. Proprio in una scultura precolombiana il re viene raffigurato con in mano una sfera e una piramide, per proclamare che questi due elementi geometrici sono sufficienti per edificare una città, ovvero costruire un regno. La ruota quindi giustappone i tempi dell’universo con l’operato degli uomini, che innalzano grandiosi edifici funebri per celebrare la caducità della stirpe umana, e le sue velleità di resurrezione. Quindi, tempo, eternità, razionalità, spiritualità, capacità di costruire e capacità di rinascere. La Ruota racchiude tutto questo, è il simbolo del divenire, della creazione e della ciclica distruzione, è collegata con la sfera del sole e col suo movimento, e ha ingranaggi al suo esterno, perché rappresenta il lavoro umano attraverso il tempo.
Undicesimo Arcano: la Forza
La virtù cardinale della fortitudo è collegata con il coraggio. Il coraggio non è l’assenza di paura ma la potestà di non soccombere di fronte alle peggiori difficoltà, di sapersi rialzare dopo ogni colpo. È la virtù che, nonostante tutti gli ostacoli, porta alla realizzazione delle proprie potenzialità. Questo concetto, nella carta di Gelso Nero, è rappresentato da una triade di elementi: un torso muscoloso che fa mostra di sè, un orecchio enorme e la copertina dell’Arte dei Rumori di Luigi Russolo, il futurista rumorista che si è guadagnato la definizione di padre del noise. La tempra in questione solo in apparenza è quella del forzuto. In realtà è quella dell’orecchio. Nello specifico, è la facoltà dell’orecchio di resistere ai rumori, anche quelli più assordanti, di trovare la loro nascosta bellezza ed armonia. L’orecchio ci permette di ascoltare, e di mantenere l’equilibrio. Il senso dell’udito è legato all’intuizione, ed è l’intuizione che permette di trovare le strategie tramite cui esercitare la fortitudo, ovvero la capacità di rigenerarsi dopo le catastrofi.
Dodicesimo Arcano: l’Appeso
L’Appeso raffigura tradizionalmente un individuo sospeso fra due stati diversi dell’essere, colto nella fase informe della trasformazione. In un vertiginoso ribaltamento dimensionale, l’Appeso di Gelso Nero appare capovolto, ma una volta girato si rivela una paracadutista che plana sul globo terraqueo, sul quale si vede un grande albero in lontananza. Nei primi anni del Ventesimo secolo, la dimensione temporale in cui si colloca idealmente l’estetica di Gelso Nero, ci sono state molte aviatrici famose, fra cui Amelia Earharth, pilota celeberrima che attraversò l’oceano, e scomparve misteriosamente a quarant’anni mentre faceva il giro del mondo. Ci furono l’italiana Rosina Ferrario ed Elsa Andersson, che imparò anche le tecniche del paracadutismo e morì durante un lancio. Ma il nostro Appeso sembrerebbe avere le fattezze di Ruth Elder, attrice e pilota, definita Miss America of Aviation, che volava su un aereo chiamato American Girl. L’albero a chioma globulare che si vede sullo sfondo potrebbe essere un frassino, come Yggdrasil, l’albero sacro della mitologia norrena su cui stette in sospensione l’Appeso più illustre di tutti, Odino, dio sciamano della magia e della saggezza. Odino si impiccò ai rami di Yggdrasil trafiggendosi con una lancia, e rimase in stato di trance per nove giorni, finchè non gli apparve la visione delle rune. L’Edda poetica recita: «Lo so io, fui appeso- al tronco sferzato dal vento- per nove intere notti, – ferito di lancia – e consegnato a Odino, – io stesso a me stesso, – su quell’albero – che nessuno sa – dove dalle radici s’innalzi. – Con pane non mi saziarono – né con corni [mi dissetarono]. – Guardai in basso, – feci salire le rune, – chiamandole lo feci, -e caddi di là.» L’Appeso rappresenta la conoscenza mistica, quella che non effettua ricerche ma si pone in attesa.
Tredicesimo Arcano: la Morte
La Morte è detta la Grande Mietitrice, e il suo emblema è la falce, collegata con la rappresentazione degli dei del tempo che tutto divorano. Il raccolto della Grande Mietitrice riguarda tutte le creature viventi, ad eccezione forse della Turritopsis Nutricola, la medusa capace di regredire in maniera potenzialmente infinita allo stadio giovanile, che Gelso Nero ha rappresentato in un’altra serie di opere. A fianco della falce vediamo un grande braccio disteso. Come abbiamo già detto per l’Imperatrice, il braccio rappresenta in primo luogo il potere. Quale potere maggiore di quello della morte? La facoltà di togliere la vita è il corollario ultimo di tutti i poteri terreni, i quali però prima o poi sono costretti a piegarsi di fronte alla morte stessa. Nell’araldica, un braccio teso verso il cielo, con il palmo aperto, rappresenta la compassione. Perché la morte, in condizioni di sofferenza estrema, diventa una liberazione. La morte è una danza, un passo a due con un casqué finale. Il casqué è una figura coreografica del tango, “in cui la dama si lascia cadere all’indietro”. Il tango si balla in senso antiorario, e il tempo nella morte scompare. È in realtà la dama che cade all’indietro a rappresentare la Grande Mietitrice, come evidenziano le sue costole in radiografia e l’ombra di un teschio sul volto. Il ballerino la fissa ipnotizzato, mentre il lume dei suoi occhi si spegne. Infine, segue la dama nella caduta.
Quattordicesimo Arcano: la Temperanza
La virtù cardinale della Temperanza riguarda il rapporto che abbiamo con la materia, e la nostra capacità di discernere ciò che ci fa male. Nella carta di Gelso Nero la Temperanza è nuda proprio perché è esposta alle tentazioni della carne. Essa è tradizionalmente mostrata mentre travasa un liquido da un recipiente all’altro. Questo gesto è metafora di trasferimento di una ricchezza, perché le sostanze liquide, che siano acqua, olio, petrolio o vino, sono preziose. Il recipiente in cui la Temperanza raccoglie il suo capitale è una conchiglia, che rappresenta gli abissi e il mondo sotterraneo. La sua forma spiraliforme è analoga a quella del labirinto. La ricchezza, quindi, è qualcosa che è nascosto dentro, qualcosa di fragile, che spesso rimane latente. Il grammofono, da cui il liquido sgorga, è uno strumento che riproduce suoni. È costituito da una manovella, da una ruota che gira ed un diffusore a forma di giglio, simboli di rinnovamento, generazione e prosperità.
Quindicesimo Arcano: il Diavolo
L’archetipo simbolico del diavolo rappresenta colui che mente, che fa false promesse ai fini della confusione, perché la confusione porta alla seduzione. Nell’ebraismo Satana non era il male, ma un’entità giudicatrice che mostrava a Dio i vizi degli uomini. A livello psichico, ognuno ha il suo demone, la cosa che lo distrugge. È generalmente una cosa che ci piace, almeno all’inizio. Una pratica, un rapporto, una droga, un vizio in cui amiamo indulgere, un difetto del carattere con cui non abbiamo voglia di lottare. È lo Spirito distruttore, profondamente radicato dentro di noi. Per l’induismo gli Asura, gli dei primordiali detronizzati dai Deva ed infine demonizzati, sono solo forme della mente. Per il buddismo, invece, il demone Mara rappresenta l’incapacità. Se nel mito il diavolo esprime il limite, nella carta di Gelso Nero è nello stesso tempo anche il superamento del limite, per la sua palese transessualità. L’ermafroditismo è d’altra parte un attributo tradizionale del Quindicesimo Arcano. Un Diavolo che gioca a fare Dio: invece di configurarsi come lo spirito di opposizione, il Diavolo di Gelso Nero riunisce gli opposti, maschile e femminile, per arrivare al non plus ultra della seduzione. In posa statuaria, come una prostituta del secolo scorso fotografata da E.J. Bellocq a Storyville, il leggendario quartiere a luci rosse di New Orleans, è come se chiedesse allo spettatore “Il mio ermafroditismo è armonia o opposizione? Perfezione o peccato?”. Avendo tutto, questo Diavolo non può invidiare nulla, se non la normalità, che di norma non è motivo d’invidia. È portatore di un fascino che indebolisce la coscienza, e si mostra nella piena forma del Seduttore.
Sedicesimo Arcano: la Torre
La Torre rappresenta la necessità di ricongiungersi con il cielo, come nel mito della Torre di Babele. Un mito che ha come base l’hybris, la superbia, la prepotenza arrogante dell’uomo, che vuole appropriarsi della prerogativa divina della distruzione totale. Gelso Nero rappresenta una Torre che crolla nell’esplosione abbacinante della bomba atomica Trinity, sganciata in un test nel deserto del New Messico tre settimane prima della distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Le figure che precipitano non possono che ricordare le morti aeree delle vittime dell’attacco alle Torri Gemelle. L’uomo inizia ad edificare le torri con lo scopo di controllare il territorio, ai fini della difesa militare, e il simbolo della Torre è spesso collegato con l’idea della lite, del conflitto, della discordia, della confusione, e, se visto nel senso della verticalità, di una distanza incolmabile. Rappresenta anche l’isolamento, la volontà di evitare la vita concreta, la chiusura totale su se stessi, l’incomunicabilità.
Diciassettesimo Arcano: la Stella
Nel Diciassettesimo Trionfo vediamo una stella che ricorda i poliedri da pietra preziosa dello stile Decò, e due ballerine che si fondono in un arabesque speculare. Così avviene nelle coreografie acquatiche in stile optical dei film hollywoodiani di nuoto sincronizzato, nei musical della Metro Goldwin Mayer, in cui i corpi delle nuotatrici, durante la danza, generano motivi geometrici a mandala. La stella che viene creata dall’unione delle due ballerine è l’ottogramma della creazione secondo la tradizione gnostica, associato a Ishtar, l’Argentea, regina della terra e dea del cielo, dell’amore, del sesso e della guerra. L’otto è il numero della perfetta armonia, della totalità, della coincidenza degli opposti, dell’unione di ciò che sta sulla terra e ciò che sta sopra di essa. Otto sono i petali del fiore del loto, le vie del nobile ottuplice sentiero buddhista, i lati del poligono alla base dell’architettura sacra, i profili dello specchio della dea Amaterasu, le direzioni terrestri della rosa dei venti, le forme di Shiva. L’otto rappresenta anche il futuro, quello che avverrà dopo il settimo giorno della creazione. La Stella Polare, il pilastro del cielo, ciò intorno a cui tutto il resto ruota, viene tradizionalmente raffigurata a otto punte. Il simbolo della stella rappresenta qualcosa di remotamente lontano, enormi entità di calore ed energia distanti anni luce da noi. La radice della parola desiderio ha a che fare con le stelle. Desiderium, desiderare: guardare attentamente le stelle (lat. sidera), fissare cupidamente lo sguardo su qualcosa che attrae, oppure distogliere lo sguardo dalle stelle per mancanza di auspici. Il desiderio riguarda il sentimento che nasce dalla mancanza, il tentativo di congiungimento con qualcosa, qualcosa che nella carta di Gelso Nero sembra essere infine il proprio riflesso nello specchio. Perché quello che davvero vogliamo, la radice di tutti gli altri desideri, è trovare nel mondo gli strumenti che ci consentano di assomigliare a noi stessi.
Diciottesimo Arcano: la Luna
Ai poeti può sembrare un teschio giallo, una donna in cerca di amanti, un occhio mangiato dalle mosche, l’unità di misura, assieme alle Pleiadi, della propria solitudine, una faccia che urla, una danzatrice sulla piazza dei morti, la terra in cui andare a cercare il senno perduto degli eroi. A lei cantano i licantropi e gli spiriti. Per quanto nella sua geografia ci siano il Mare della Tranquillità, l’Oceano delle Tempeste, il Mare delle Piogge, il Lago dei Sogni, la Palude della Putredine, la Baia della Rugiada, non esiste una sola goccia d’acqua sulla sua superficie. La Luna è una terra sterile e desolata, eppure, da distanza pari a 384.400 km, essa regola tutto ciò che ha a che fare con la sopravvivenza degli uomini, dalla riproduzione all’agricoltura, e governa tutto ciò che è fatto d’acqua, dagli umori degli esseri umani ai flussi delle maree degli enormi oceani. La Luna fa impazzire, focalizza su di sé tutti gli sguardi notturni ma non può essere posseduta. Come Selene è sempre vergine.
La Luna è ciò che cambia, e ciò che ha un dark-side. La Luna di Gelso Nero è doppia, il disco lunare racchiude un altro disco, con il volto della diva del muto Louise Brooks. Louise Brooks rappresenta perfettamente lo spirito della malinconia. Sessualmente libera, misantropa, autodistruttiva, amante della letteratura, dell’alcol e dei barbiturici come una Marilyn in versione oscura, rovina la sua carriera rifiutando di doppiare la sua voce e non accettando il ruolo di protagonista in Nemico Pubblico. Dopo la fine della parabola di attrice, approda a New York, inizialmente facendo la squillo, e infine, senza più frangia, la commessa ai grandi magazzini. Dopo aver guastato anche il suo corpo ed essersi rinchiusa in casa assieme ai suoi gatti, Louise Brooks scrive una serie di pezzi critici sul cinema muto, che vanno a costituire il saggio Lulù in Hollywood. L’ultima luce della vita di Louise Brooks è stata la corrispondenza epistolare con Guido Crepax, che è riuscito a coglierne l’essenza mitica e ad eternarla nel fumetto Valentina. Dietro ad un velo che la nasconde, che potrebbe essere una cascata d’acqua, la Luna mostra due antenne da creatura aliena di Metropolis, che in realtà sono la duplicazione della Fernsehturm, la Torre della Televisione di Berlino. Per captare tutto ciò che ha una natura ondulatoria, ovvero ciò che non ha un corpo, una parte solida, e, pur pervadendo tutto lo spazio in cielo e in terra, non si può toccare.
Diciannovesimo Arcano: il Sole
Dalla Stella, alla Luna, fino ad arrivare al Sole, in un progressivo aumento di luce. Il Sole è materialmente ciò che fa crescere le cose, ciò che crea le condizioni per cui ci possa essere vita, ovvero luce, nutrimento, calore. Tutto ciò che vive si volge verso il sole. Solo le creature mitiche del reame della morte lo temono e lo fuggono, come i troll, gli orchi, i vampiri. La donna vestita di sole è la Regina Mundi Mater Dei, che compare anche nell’Apocalisse, incinta, mentre grida per doglie del parto, con una corona di dodici stelle e la luna sotto ai suoi piedi. Lo stadio più alto dell’illuminazione è detto solificatio. Grazie al sole noi siamo in grado di proiettare la nostra ombra. Nella carta di Gelso Nero il disco del sole si staglia dietro a due gemelli. Esistono numerose leggende sui gemelli, ma in particolare ce n’è una dell’Estremo Ovest. I nativi americani irochesi postulano l’esistenza di due gemelli mitici, Gemello Buono e Gemello Cattivo. Gemello Buono è il nume invisibile della danza delle piume, preposta al risanamento, e rappresenta il Sole del Mattino. Ha creato la luna, le stelle, le montagne, e tutto ciò che da nutrimento e gioia. Gemello Cattivo invece rappresenta il Sole della Sera, patrocina le Danze di Guerra, ha creato l’oscurità, le tempeste, i mostri, i vermi e tutto ciò che lacera e confonde. I gemelli sono per loro natura perturbanti. I gemelli rappresentati nella carta di Gelso Nero sono siamesi, uniti dal torace, come i tailandesi Chang ed Eng Bunker, uno donnaiolo, l’altro austero, uno vegetariano, l’altro amante della carne piccante, uno intellettuale, l’altro sguaiato. Ma questi in particolare sono Liou Seng-Sen e Liou Tang-Sen, gemelli coreani nati nel 1903, fotografati qui all’età di circa sette anni. Nel caso dei siamesi, l’unione fraterna diventa patologia, mostruosità, ma anche prodigio e comunione, rappresentando il superamento di ogni dualismo e la negazione perpetua della solitudine. Non vi è nulla di unidirezionale al mondo, perfino il sole portatore di vita, qualora non crei ombra, può bruciare, accecare ed essere fatale.
Ventesimo Arcano: il Giudizio
Se l’aurora luminosa che passa dal Diciassettesimo al Diciannovesimo Arcano è metafora di formazione, di acquisizione di esperienze, conoscenze e facoltà, è naturale che dopo aver ultimato questo processo si sia pronti per il Giudizio. Ma bisogna anche essere pronti a mettere in discussione tutto ciò che si è acquisito, a perderlo, per poter attuare il paradosso che consente di andare sempre avanti nel cammino conoscitivo. Non si fa altro al mondo che morire e rinascere, e l’Arcano del Giudizio è anche quello della Resurrezione dei Morti. Se nella carta tradizionale ci sono tre fosse, in quella di Gelso Nero ci sono tre tubi, tre sistemi di comunicazione attraverso cui scorre qualcosa, un immane flusso di energia. Queste tre condutture rappresentano lo spazio angusto e chiuso della bara, da cui escono tre figure umane che ritornano dal mondo dei morti, nell’atto di adorare una tromba, cioè ciò che li ha richiamati. Il suono della tromba chiama all’azione, e solitamente annuncia un evento catastrofico, come la guerra, la caccia, l’apocalisse. Ma può essere anche la nota d’inizio di un corteo trionfale o di una festa bebop. La nube simboleggia le immagini della mente, che non cessano mai di mutare forma, l’interazione fra ciò che è fisico e ciò che è ultraterreno, l’agente della fertilità e quindi della rinascita. Il Ventesimo Arcano rappresenta un cambiamento totale ed inaspettato, la guarigione, la riabilitazione, la pace fatta con le forze del caos.
Ventunesimo Arcano: il Mondo
Alla fine del viaggio, ecco il mistero inaccessibile. Il Mondo nella sua totalità è ciò che ha fatto nascere nella mente dell’uomo l’idea di Dio. Rapportato al singolo, il Mondo si presenta in un’estensione infinita. Infinite sono le sue prospettive e infinite le storie che contiene. L’unico modo che l’essere umano ha di cercare di conoscere questo infinito è tramite una rappresentazione, che ne isoli una parte. L’essere umano cerca di duplicare il Mondo nella superficie di uno specchio, per poterlo osservare e per cercare di capirlo. L’arte, il mito, la ritualità, la religione, la speculazione filosofica e quella scientifica sono tutte rappresentazioni. Ma chi specula deve tenersi a distanza, non può immergersi nell’oggetto della sua speculazione. La conoscenza è per gli eremiti, o per la Luna, che guarda il mondo da lontano. Così è rappresentato il Mondo nella carta di Gelso Nero, circondato dal Tetramorfo. Il Tetramorfo ricorre nelle fantasmagorie dei profeti visionari, come Ezechiele e Giovanni. È l’unione dei Quattro Viventi, una creatura numinosa avviluppata nelle ali rotanti da serafino, fatta di fuoco e folgore. Nella carta è rappresentato mediante i volti metamorfici di quattro donne nell’atto di trasformarsi in animali, che rappresentano quattro facoltà. L’aquila per la potenza dello sguardo, per la capacità di analisi e sintesi, il toro per il lavoro, la padronanza, la sensualità come finezza di percezione, il sacrificio, il leone per l’istintività, il vigore, e il coraggio, indispensabile a chi vuole davvero la conoscenza, l’essere umano per la ricettività nervosa, la bellezza e la capacità di comprensione. Noi siamo dentro al Mondo, e ci specchiamo in esso, con un vertiginoso processo di mise en abîme, in cui il nostro riflesso è contenuto in piccolo dentro ad riflesso, dentro al quale ce n’è un altro, e così via. Questo è l’abisso, detto anche infinito, dove “tutto ciò che vediamo o sembriamo non è altro che un sogno dentro a sogno”.
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