Nel corso di una puntata di M.O.D.A., Achille Bonito Oliva ha affermato che la moda e l’arte non potranno mai essere considerati omologhi, dal momento che l’arte serve per rivelare l’essere umano, mentre la moda serve per nasconderlo. Per quanto sostanzialmente d’accordo, noi pensiamo che l’arte e la moda abbiano una mappatura interstiziale che si trovi spesso a coincidere.
Soprattutto ora, che lo spirito dei tempi si inchina all’effimero e alle leggi del mercato.
Come l’arte, anche la moda è un sistema significante di segni, spesso convergente in orizzonti di disturbo e scandalo. La moda ha a che fare con la corporeità e la sessualità, e l’arte se ne occupa spesso e volentieri.
A cicli alternati, l’arte assume l’artificio come proprio paradigma. Per buona parte della storia dell’arte, i vestiti sono stati minuziosamente rappresentati come parte dell’identità dei loro proprietari, e soprattutto, per noi posteri, come spie eccellenti dello Zeitgeist. Come dissociare la robe à la française e le parrucche incipriate dall’idea del Settecento? La tournure e il busto dall’Ottocento vittoriano? I pantaloni a zampa e le piume di pavone dallo shift fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta? Le spalline armatura e i rossetti fucsia dagli anni Ottanta?
Gli esempi potrebbero essere infiniti, tutti ad attestare che la moda concorre all’adempimento di una delle funzioni più alte dell’arte, la preservazione della memoria.
Nel tempo velocizzato degli ultimi cinquant’anni del millennio scorso, le mode e gli stili si sono succeduti a ritmi vertiginosi.
I HATE MYSELF AND I WANT TO DIE
Nella primissima parte degli anni Novanta, ecco il grunge.
Figlio autistico del punk, ha la sua stessa rabbia, ma la incanala in traiettorie implosive. Nonostante la sporcizia, ha lo stupendo odore della bellezza e della gioventù. Le sue maglie a righe sono per tradizione quelle dei galeotti e dei corsari. Le sue camicie scozzesi sono la divisa del white trash, la classe operaia dei bianchi perdenti. Vincere/perdere, le categorie sociali imperanti e più esportate dell’America, verranno invalidate proprio dall’icona del grunge.
“Ma che cosa voleva di più? Era giovane, bello, aveva fatto il disco epocale della sua generazione e tutti lo veneravano.”
“Eh già. Ricchissimo, famoso, poteva avere tutto, droghe e donne di lusso. E poi aveva una figlia piccola meravigliosa. Come ha potuto farlo?”
Nessuno riuscì a spiegarselo. Come tutte le volte, il grande Mistero Doloroso del suicidio è rimasto impenetrabile. Kurt Cobain è stato la Marilyn Monroe degli anni Novanta. La spia che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato proprio nel cuore del Grande Sogno. Kurt e Marilyn.Entrambi di una bellezza mozzafiato. Persi dentro ai loro paradisi artificiali. Uno dilaniato da dolori di stomaco, l’altra con problemi di cistifellea. Tutti sognavano di avere una vita come la loro, e loro si sono ammazzati.
CHI HA UCCISO LAURA PALMER?
La corona da reginetta di bellezza di Courtney Love è stata usurpata a Laura Palmer, e le camicie a scacchi di suo marito sono le stesse indossate dagli abitanti di Twin Peaks. Fucili, animali impagliati, dolci pieni di zucchero. La morte di Laura Palmer è l’epilogo dei ripetuti stupri del padre. L’incesto sta alla base della storia di una delle canzoni più potenti della temperie grunge, Alive dei Pearl Jam. Il terzo disco dei Nirvana si intitola Incesticide.
Ma ciò che accomuna in maniera più forte Twin Peaks al grunge è la rivelazione dell’orrore che si nasconde dietro a tutto ciò che sembra perfetto, dal paesino di montagna da cartolina, fino alle vette del successo.
Il gusto del perturbante, l’eccesso, e l’esito di morte. È meglio bruciare in fretta, che dissolversi lentamente, ha scritto Kurt Cobain nell’ultima lettera. Fuoco cammina con me, diceva il demone BOB.
GRUNGE IS DEAD…
Good sister bad sister
Better burn that dress sister
The Hole
Il progetto di Omar Nardi scompagina le regole di moda, arte e mercato. Al vincolo e alla sicurezza di una boutique in pianta stabile, il giovane designer emiliano preferisce abbracciare un’idea di instabilità e nomadismo. Le sue collezioni vengono presentate in gallerie d’arte e spazi off, in città di volta in volta diverse. Rimangono allestite per un mese, due, tre al massimo. Appaiono e scompaiono, come una star in tournée.
Dell’universo della moda, Nardi evidenzia un tratto considerato accessorio nel cancan delle produzioni e degli showroom, ovvero la parte concettuale delle collezioni. Lo spazio deputato a boutique si trasforma in contenitore onirico, per dare forma al mondo che sta dietro ai vestiti. Ma soprattutto diventa un crocevia in cui si intersecano forme d’arte molteplici, dall’installazione, alla performance di musica o teatro, alla fotografia e alla video arte, fino alla convivialità e all’arte della conversazione. Nell’atelier nomadico di Omar Nardi, l’unica cosa che conta è la bellezza.
I’M MISS WORLD, SOMEBODY KILL ME
Una bellezza sciancata, quella del grunge. Sporcata. Nascosta. Dissonante. Sulla stessa falsariga dell’estetica giapponese e belga. Nella collezione primavera/estate 2011 di Omar Nardi il grunge e il mondo spettrale di Twin Peaks vengono rivisitati mediante vestiti decostruiti, che occultano la figura, e lasciano trapelare solo la perfezione dei corpi. Il grunge viene riproposto tramite un’etica do it yourself, che prende centinaia di t-shirt bianche e le riassembla fino ad ottenere veri e propri virtuosismi di sartoria. Le magliette si trasformano in trench, pellicce, giacche. I fuseaux presi dall’ underwear maschile sono una citazione delle mise del leader dei Nirvana, che spesso si presentava sul palco in pigiama. I bianchi lacerti di tessuto richiamano alla mente l’universo di spiriti di Twin Peaks. Il bianco e il nero sono gli stessi colori delle due Logge che fanno da confine tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, come pure è a motivi bianchi e neri il pavimento della Loggia Nera.
HEART SHAPED BOX
Lo spazio della galleria/atelier ospita un‘installazione, che intende riprodurre la stanza da letto di un adolescente asociale. All’inizio degli anni Novanta, il luogo di non-aggregazione o di aggregazione molecolare della camera privata sostituisce i tradizionali setting della gioventù: i bar degli anni Sessanta, le discoteche e le piazze dei Settanta, le case occupate degli Ottanta. Alle pareti di questo bozzolo vengono affissi trofei di peluche, che alludono ad una dimensione di infanzia perpetua e agli animali impagliati dell’albergo di Twin Peaks Great Northern. Oltre agli animali, piccole immagini in cornice, per rispecchiare gli universi di Lynch e del grunge gli uni negli altri. Un primo piano di Kurt virato in blu e il viso di Laura Palmer avvolta nel suo sudario di plastica. Laura con la coroncina da beauty queen e la copertina di Live Trough This. Bob e Cooper che urlano, Kurt e Frances che sbadigliano.
Kurt che sfoggia la maglia che da il titolo alla mostra, Ronette Pulanski in cammino sulle rotaie e una teoria di farfalle puntate con gli spilli.
Come nel video di Heart Shaped Box, in cui delle farfalle blu, simbolo dell’anima, volano di fronte ad una grande croce in un campo di papaveri.
Sospeso al crocefisso, l’alter-ego di Kurt Cobain, un Babbo Natale macilento, decrepito e triste.
Allo stesso video e al finale di Fuoco Cammina con Me si ispira formalmente la performance prevista per l’inaugurazione, I’m You. Laura Palmer giace nel letto, vegliata da Bob, mentre Kurt Cobain si nasconde nell’armadio aggrappandosi al suo vecchio orsetto di pezza. Soltanto uno dei due riuscirà a salvarsi.
PERSONA
Le maschere di Omar Nardi sono oggetti dalla duplice essenza. Possono essere manipolate e trasformarsi in cappelli punk ornati da spille di sicurezza, o diventare cappucci integrali che separano dall’esterno, raccontando di deprivazione sensoriale e di cancellazione dell’identità. Oggetti di chiusura patologica, cecità, incomunicabilità. Queste maschere citano i défilé di Margiela e Watanabe, ma anche le performance estreme di Rudolf Schwarzkogler, fino a sfiorare un’altra estetica, entrata da poco nel sentire comune. L’estetica politica del potere, applicata a chi viene imprigionato, sottoposto a tortura, condannato a morte.
Proprio per essere specchio del mondo, anche nei suoi riflessi infernali, per le sue caratteristiche di pulizia, essenzialità, complessità, per il suo non essere mai accomodante, la collezione Grunge is Dead di Omar Nardi è molto più vicina all’universo dell’arte che a quello del fashion system.
Testo critico e curatela per la mostra Grunge is Dead …, inaugurazione 5 marzo 2011, presso Magazzini Criminali.
Fashion Design: Omar Nardi.
Photo Credits:Francesca De Paolis, Ines Mancuso, Log Lady e Veronica Benedetti.
Models and performers: Elena Ingrami, Kich Man, Mario di Martino, Manuela Avidano, Alejandro Golpe, Sylvie Borghi.