DANDIES E SBIRRI A BRACCETTO VERSO LA CATASTROFE ___ La mostra “The end of the 90s and the Impressionists” di Stefano Pasquini per FestivalFilosofia 2010 [sulla Fortuna]


Stefano Pasquini The end of the 90s


A i voli troppo alti e repentini
sogliono i precipizi esser vicini
Torquato Tasso



Il dandy è una creatura ibrida. La testa di ponte fra una modernità stremata e il trionfo della superficie del postmoderno.
Alle persone, il dandy preferisce le cose. Le redingote in stile anglomania , i cappelli a cilindro di Harrington, i vestiti di Rick Owens, i vasi Arita, i mobili Alchymia. E, ovviamente, le opere d’arte, che sono sempre degli oggetti. Le cose, a differenza delle persone, sono prevedibili, obbedienti, perfette in maniera continuativa. Basta saperle scegliere.  Nella sua mania estetica, il dandy vuole tutto sotto controllo. Il dandy è agli antipodi della passione. Dopotutto la parola moda deriva dal latino modus, che significa regola.
La noia del dandy lo porta a flirtare con le emozioni estreme, che fanno tanto dionisiaco, ma il suo amore per la perfezione lo fa fuggire dalla profondità scomposta. Un tempo si diceva che i dandy fossero antiborghesi, ma ora tutto si è confuso e colluso.

All’epoca di Lord Brummell – in cui nasce –  il dandy doveva avere tre parrucchieri, uno per la nuca, uno per le basette, e un altro per il resto dei capelli. La sua cravatta gli veniva stirata addosso con un minuscolo ferro da stiro che eliminava le più piccole grinze.
Poi sono venuti i dandy di seconda e terza generazione, quelli che non pensavano solo a vestirsi e a srotolare i listelli della coda di pavone, ma anche magari a produrre qualche opera d’arte. Baudelaire è il primo della nuova specie. Tom Wolfe forse l’ultimo. I bestemmiatori dicono che ora c’è rimasto Lapo Elkann.

David Bowie è dandy, ma solo la versione Thin White Duke, giammai in quella Ziggy Stardust. Marcello de La Dolce Vita è un dandy.Andy Warhol era un dandy perfetto. marcello mastroianni, la dolce vitaAhoi, Rotterdam David Bowie,  Rotterdam, Netherlands - 13- May 1976,  (Photo Gijsbert Hanekroot/Redferns) *** Local Caption *** David Bowie ahoi

AndyWarholIl dandy ama il motto di spirito perché è eccitante ed effimero. Il dandy è necrofilo, perché la morte è la fine della noia. Die Young, Stay Pretty, and Leave a Good Looking Corpse. Per la sua volontà di sbalordire, un dandy morto con un cattivo karma potrebbe reincarnarsi in un televisore.

Il  dandy è apocalittico, perché la fine del mondo è la fine delle delusioni. Ama la malattia, perché i sintomi lo distraggono dalla causa e sono un’altra scusa per guardarsi allo specchio. Per dire guardatemi. Il dandy si nutre degli sguardi, se non viene guardato abbastanza muore.
Ma per un vero dandy il non plus ultra dell’esistenza è il paradosso. E infatti la virtù cardinale del dandy dovrebbe essere l’invisibilità. È questo amore della contraddizione che, prima ancora della mania estetica, fa risultare il dandy omologo all’opera d’arte.

oscar-wilde-dandyStefano Pasquini The end of the 90s, manganelloAgli antipodi del dandy, il poliziotto. Il poliziotto veste una divisa, che non è mai elegante, ma che per lui è il massimo. Il poliziotto è simbolo di potere esecutivo, rigore, ordine. È la legge per eccellenza, altro che moda. Per uno sbirro cattivo e picchiatore mettere le mani su un effeminato dandy sarebbe proprio il top della vita.
Ma pensiamo un attimo allo scenario della caserma, da cui il poliziotto proviene: esibizioni di forza e muscoli, sottomissioni di nuove leve alle volontà dei nonni,  nocciolo oscuro di promiscuità cameratesca. Appare evidente che il sostrato simbolico nascosto degli organi dell’esecutivo è proprio il rimosso omosessuale, imputato al dandy durante il pestaggio.
Ora finalmente ci sono corpi di polizia dichiaratamente gay friendly. Ai primi posti nella graduatoria dell’associazione per i diritti dei gay sui posto di lavoro migliori per omosessuali nel Regno Unito, subito dopo l’IBM viene Scotland Yard.

Insomma, molta acqua è passata sotto ai ponti dalla condanna di Oscar Wilde al carcere duro di Reading, a causa dei suoi orientamenti sessuali. Nell’installazione di Stefano Pasquini, la colonna su cui si erge il pseudo vaso Ming riecheggia un aforisma di Wilde: “Trovo ogni giorno più difficile vivere sullo standard delle mie porcellane cinesi.” Die dandy, scritto con un rossetto che imita sangue sgocciolato, un po’ alla Rocky Horror Picture Show. Chi è troppo camp deve morire. Chi è troppo raffinato pure. Morte alla cultura e alla diversità.

La borghesia si è trastullata con il genio di Oscar Wilde, e poi lo ha mandato in campo di concentramento.

Stefano Pasquini The end of the 90s, die dandyMa la morte è uguale per tutti, e la stele mortuaria del dandy riecheggia la forma di quella dei caduti delle forze dell’ordine, che si trova nella piazza antistante ai Magazzini Criminali.
Il disastro privato di Wilde si rispecchia in quello pubblico ed epocale delle Torri Gemelle. Ironicamente sulla caldera fumante svetta lo spettro del bau-bau sbagliato, Lenin invece di Bin Laden. All’interno del suo allestimento, Pasquini indaga il contraltare della fortuna, il disastro. Tecno-scienze, modelli economici, apoteosi dell’ego: l’autostrada dell’iper-sviluppo viene sempre costruita con la corsia d’emergenza : già nell’atto della sua concezione ci sono i futuri incidenti da  sbarellare. Era chiaro che Oscar Wilde sarebbe stato distrutto, e che le Torri Gemelle sarebbero cadute. Ma non bisogna disperare. Stando a quanto dicono i greci, dopo la catastrofe viene la catarsi, ovvero la liberazione.

Leyenda sobre el pacto diabólico y la pérdida de la sombra por parte del hombre. p. 144 de MUCHEMBLED, R.; Damned, 2004


Testo scritto per la mostra di Stefano Pasquini The End of the 90s and the Impressionists, in occasione di FestivalFilosofia 2010 [sulla Fortuna], inaugurazione 17 settembre presso Magazzini Criminali. A cura di Magazzini Criminali.


 

Torna in alto