Andrea Paganini rivisita la tradizione medievale dei bestiari, nei quali la natura umana viene indagata tramite uno dei suoi presunti opposti, l’animale. Essere alieno, eppure omologo all’uomo in modi trasversali e maniere inconfessabili, l’animale è da sempre stato uno dei soggetti prediletti della storia dell’arte, fin dall’alba del Paleolitico. La tecnica di matrice informale di Paganini sintetizza i soggetti in tocchi rapidissimi, e li ascrive alla materia, alla forza tellurica della natura. Perché gli animali selvaggi sono veloci, e vivono nascosti. Quando si mostrano all’uomo lo fanno solo per pochi attimi, e subito dopo scompaiono. L’esecuzione di getto rende la rapidità di queste epifanie. La sintesi formale allude anche all’essenzialità della natura, che senza aggiungere mai nulla di superfluo risulta sempre perfetta.
Il riccio, animale ambivalente, da un lato tenero orsetto, dall’altro scudo corazzato, diventa l’emblema della resistenza passiva. A causa del bruciore causato dai suoi aculei, per i popoli iranici il riccio ha inventato il fuoco. Nell’opera in cui Paganini lo ritrae, sdraiato come un gatto con la cresta punk, è definito acerrimo nemico della vipera.
Un dinamico cane nero in punta, con le zampe posteriori piegate verso l’interno come quelle un trampoliere. Tutte le mitologie che riguardano il cane lo rappresentano come emissario del mondo dei morti. Un psicopompo, che accompagna il suo compagno umano nell’aldilà.
La lepre è un altro animale ctonio, legato al mondo invisibile, alla luna, e del rinnovamento costante della natura.
Un tronco verniciato di bianco si trasforma in dragone, di cui rimangono solo ossa calcificate. Il guardiano dei tesori da sconfiggere per conquistare ciò che si desidera, e quindi una rappresentazione sublimata della più grande paura di ciascuno.
La medusa, animale bellissimo e velenoso, viene resa con spruzzi di un colore colloso, aranciato, che vanno a comporre la rosa dei suoi tentacoli urticanti. Nei sogni, la medusa è simbolo di paralisi della volontà.
Il rinoceronte invece è una vera e propria macchina da guerra. Nonostante la sua velocità, quando un rinoceronte è in pericolo, non si dà mai alla fuga, ma attacca frontalmente il nemico. Per i saggi cinesi la scimmia può rappresentare la coscienza dissipata, per via dei suoi modi sciocchi, ma anche la conoscenza, grazie alla sua grande abilità di apprendimento per imitazione. Nell’arte dell’Estremo Oriente, la scimmia è simbolo di ironico distacco, di contemplazione della pseudo-saggezza degli uomini. Questa è la tradizione in cui Paganini sembra inserirsi, mediante un primissimo piano degli occhi dell’animale, che guardano dritto lo spettatore.
Il gatto nero dinamico come un serpente allude ad una vicenda personale dell’artista, il quale ha avuto un gatto con spiccate tendenze cleptomani nei confronti della ciotola del cane.
L’elefante è emblema di potere regale, stabilità, conoscenza divina. Il dio indiano Ganesh, il signore di tutti gli esseri, della capacità di conciliare la dolcezza con la forza e di distinguere ciò che è reale e ciò che non lo è, ha la testa elefantina. In molte culture l’elefante è ritenuto animale cosmoforo, ovvero la creatura che sostiene il mondo alla sua base.Strategie di difesa e di attacco, coraggio ed astuzia, bellezza, velocità, paura, amori che vanno oltre la morte, predazione, rinnovamento, gli animali di Paganini diventano come un prisma cangiante, per fare da specchio all’uomo.
Testo critico scritto per la mostra “Walden”, Inaugurazione 9 aprile 2011 presso Magazzini Criminali.