N. 23 LA VENERATIO NELLA LUNA ARIOSTEA __ La mostra di Stefano Pasquini


 

Stefano W. Pasquini a-rose-23-teeth All’interno della personale di Stefano Pasquini N. 23 – La veneratio nella Luna Ariostea verranno esposti oggetti di provenienza lunare, perduti come il senno di Orlando, partoriti dall’accostamento di elementi incongrui ed eterodossi. Una serie di titoli siglati, come US0811, alludono alla proliferazione industriale dei manufatti artistici, e alla loro progressiva rarefazione di significato, per cui il numero seriale è preceduto dall’acronimo di  Unitled Sculpture. La scultura senza titolo in questo caso è una baguette chiusa col nastro isolante, in un’ unione di cibo, sporco lavoro, e divertissment culinario. Con US091 uno scherzetto  voodo annega l’immagine del sommo pontefice, oppure la usa per compiere atti vandalici. Stefano W. PasquiniUna rosa bianca perfetta, tanto perfetta da sembrare finta o assemblata in laboratorio, esibisce sul suo stelo un perturbante innesto di 23 denti neri, divelti, cariati, che sembrano amidale di un’altra era. La ricorrenza del numero 23 è un gioco che parte dai cabalisti e arriva fino a William Burroughs. Se tre è il numero perfetto che simboleggia Dio, il 2, molto più del 6, è il numero del male, della divisione, dell’opposizione, della guerra. L’unione dei due poli causa un cortocircuito potente, da cui nascono tutte le forme della cultura che hanno orrore del manicheismo e tutte le coincidenze significative dell’esistenza. Vedremo ferri da stiro con aghi saldati sotto la piastra, e scarpe a buon mercato contenenti una gamba trasformata in un ramo nodoso. Stefano W. Pasquini 2Pasquini espone un autoritratto iper-reale, in cui la sua testa in 3D campeggia su uno stelo di metallo ed esibisce l’estirpazione della mandibola e della parte bassa del volto. Un Cristo con gli occhi chiusi, dai capelli veri, trovato sul sito necrofilo Rotten o sulla lancia di un capotribù dei cacciatori di teste, incapace di nutrirsi, comunicare, o anche solo di dare baci. Quindi l’autismo, la fame e la deprivazione affettiva diventano metafore del fare artistico. Stefano Pasquini è un degno figlio dei Surrealisti. Crudele, ma mai grand-guignolesco nonostante l’impiego del corpo e dei suoi lacerti; raffinato, grazie anche a una massiccia dose di ironia.autoritratto2000


Pubblicato il 17 gennaio 2009 su L’Informazione Download pdf


 

Torna in alto