UNA DI NOI? STORIA E ICONOGRAFIA DELLE PRIME DONNE TATUATE [Parte I] _ Fine Ottocento
Ma che bella decade. Come possiamo definire l’estetica di questi nostri anni Dieci?
“Boh. Eclettica. Necrofila. Neo-pagana?”
“Sì, molto postmoderna. Con ondate di revivalismo dell’Ottocento e praticamente di ogni decennio del Novecento.”
“Tendente all’estremo. Alla diffusione del mostruoso. Alla sua estetizzazione, normalizzazione e massificazione.”
“Sì, sì, puoi essere obeso, maculato, tatuato, trans, frocio, mutilato, nano o deforme. Tutto quello che ti pare, basta che si veda che c’hai i soldi.”
Sia come sia, ci siamo ritrovati ad amare molto i segni distintivi dello stile degli anni Dieci: il total black, il trucco Forties con le sopracciglia ad ala di gabbiano e il rossetto pesante, il revival Crazy Colors anni Novanta, il septum in stile Bollywood, i tatuaggi da suicidio.
Ora però gli anni Dieci volgono al termine e noi ci siamo improvvisamente accorti che tutte queste cose non le amiamo più. La moda è frivola, iconoclasta per natura, e anche noi lo siamo.
Poi noi abbiamo pure questo vizio di guardare. Le starlette rap, indie, minimal wave, le icone di Instagram senza arte né parte, le socialite alternative che fotografano i propri rictus facciali in locali immondi con i loro capelli rosa confetto. Le abbiamo guardate talmente tanto che non riusciamo proprio più a ignorare il loro vero volto, di fedeli e spietate seguaci del branco. Poveri noi, le chiome grigie da 400 euro e gli allargamenti tribali non riescono più a nascondercelo.
E le neo goth, poi, le cultrici della witch fashion. Con i loro gioielli d’argento e pietre di luna a forma di feticci Blair Witch Project, i loro cappelli a tesa larga a là Alejadro Jodorowski, le loro zeppe a carro armato Jeffrey Campbell. Le stiamo vedendo molto bene, mentre prendono lentamente la deriva di tutto ciò che è dark, e virano senza rendersene conto verso il cattivo gusto da pupazzetto di Nightmare Before Christmas.
Che dire infine delle ragazze tatuate. Ci piacevano molto, ci facevano proprio sesso. Non riusciamo proprio a capacitarci di quanto ci piacessero. Tanto che ci abbiamo dedicato un progetto fotografico, anni fa. Forse – dai – un pochino ci spiaciucchiano ancora. Sarà che, come diceva Moritz Heimann, alla fine dei conti il gusto è raro quanto il genio. E noi, pur essendo – come tutti – sprovvisti sia dell’uno che dell’altro, non ne possiamo davvero più di vedere questa marea di corpi sfigurati da tatuaggi orrendi. Non riusciamo più a guardare quest’esplosione di inchiostro e sangue fetido, cumulativa come ogni aspetto del consumismo. I nostri occhi sanguinano davanti a tutti questi segni indelebili senza senso, che non significano nulla per i loro portatori se non l’inclusione illusoria a un modello estetico di massa pseudo-trasgressivo. Sì, talmente trasgressivo da spopolare perfino negli studi di Maria De Filippi.
Andava il giapponese, e tutte si sono trasformate in geishe guerriere della yakuza. Andava il neo-tradizionale, e c’è stata un’epidemia dermatologica di matrioske colorate, pin-up, rondinelle e navi a vele spiegate. Poi c’è stato il boom delle geometrie sacre e dei neo-tribali di ispirazione indiana, e tutte si sono fatte ‘ste cose che a conti fatti ricordano un po’ le fantasie dei foulard di mia nonna. La moda dei tatuaggi è un triste paradosso, infatti quelli fatti per moda invecchiano miseramente nel giro poche stagioni. Così, in preda al raccapriccio un-cool, ci si ricopre infine di colate nere, non volendo capire che non c’è più modo di sottrarsi alla volgarità.
Nonostante le nostre invettive, noi continuiamo ad amare la pratica. Ci piacciono i suoi risvolti sciamanici, l’idea del marchio a vita, quella della memoria. Ci piace soprattutto il pericolo, di cui nessuno fa mai parola. Un tatuaggio ha sempre dei significati ombra, che vanno a condizionare chi se lo fa. È e deve essere pesante da portare. Il suo marchio è imprevedibile: a volte apre il suo portatore al suo significato più manifesto, altre volte chiude per sempre, marcando la fine di un ciclo.
A conclusione di questa filippica, prima che il nostro disgusto ricada sopra noi stessi e ci induca a pratiche di automutilazione in stile Russia Antica, vogliamo scrivere un articolo che abbiamo in mente da circa sei anni, e che in un modo o nell’altro non abbiamo mai scritto. In questo pezzo scopriremo chi erano le prime donne tatuate dei freakshow e dei circhi: non certo delle icone fashion, ma delle disperate che si tatuavano per motivi di urgenza pratica, come riuscire a sopravvivere, lavorare come artiste, tagliare in via definitiva con la società e abbracciare il mostro con autentica passione. Le prime tattooed ladies si tatuavano con tutti i sacri crismi dei misteri. Con l’esclusione degli spettatori paganti e dei colleghi, nessuno lo sapeva, perché durante il giorno i tatuaggi di queste donne scomparivano sotto i loro abiti vittoriani. È una legge quasi impossibile da capire nei nostri tempi, in cui ogni cosa è tenuta ad essere oscena. Ma il feticcio, per poter mantenere i suoi poteri magici e trasformativi, deve rimanere nascosto.
IL TATUAGGIO NEL SECOLO DECIMONONO
Sappiamo che ci sono stati splendidi precedenti nel mondo precivile [li abbiamo indagati qui], nelle civiltà classiche e in quelle criptopagane nell’era del cristianesimo. In questo articolo ci concentreremo sull’età contemporanea.
In un saggio del 1876, Cesare Lombroso collega l’inclinazione a farsi tatuare con quella a delinquere. All’epoca, molto più di oggi, il tatuaggio era visto come qualcosa di sporco, e le donne che esibivano i propri total body erano considerate delle pervertite ipersessuate a cui piaceva farsi guardare. [È evidente quindi che certi cervelli non si sono mai mossi dall’Ottocento.] A parte le eccezioni delle classi egemoni, come la madre di Winston Churchill che aveva un ouroboros intorno al polso, la prima generazione di donne occidentali tatuate aveva tatuaggi integrali, compresi fra l’incisura giugulare, i polsi e le caviglie. Erano tutti fatti dolorosamente a mano, un punto alla volta, quindi lunghissimi da fare, e molto lunghi e difficili a guarire. I colori erano limitati ad un blu-nero, detto India Blue, e a un rosso tendente all’arancio, il China Vermilion. I soggetti venivano dalla tradizione marinaia: bandiere (appartenenza, convinzione, lignaggio), navi (il viaggio periglioso), stelle (la natura remota, potente, luminosa e indefinibile del desiderio), cupidi (la sua controparte dolcemente mondana e carnale) ancore (ciò che ci dà stabilità e che nello stesso tempo ci imprigiona), cuori (sessualità), aquile (potestà).
Il tatuaggio fatto con questi crismi e queste motivazioni aveva dei valori mitici e trasformativi. Cambiava sia la persona che la sua storia. Marcava l’importanza della scelta, da cui non si torna indietro, l’appropriazione dolorosa del proprio corpo, l’autodeterminazione.
Gli uomini tatuati si esibivano nei circhi già dagli anni Quaranta, mentre per le donne l’anno di svolta è stato il 1882. La prima generazione di donne tatuate è composta da due pioniere solitarie apripista, Irene Woodward e Nora Hildebrandt, e da tre famose coppie che iniziano a lavorare subito dopo il debutto delle due avanguardiste. Non si sa bene chi sia stata la primissima artista tatuata in Occidente. Noi cominceremo con chi ha avuto l’onore dei primi articoli sulla stampa.
IRENE WOODWARD _ La Santa Diva
“Purezza trafitta. Natura ed Arte perfezionate. Una bellezza.”, così il Brooklyn Daily Eagle descrive Irene Woodward al suo debutto a New York nel marzo del 1882, presso il dime theatre di George Bunnell. Il costume che indossa, con le caviglie e le ginocchia scoperte, è indicibilmente scandaloso per l’epoca. Inoltre Irene è ben fatta, con occhi a mandorla e capelli castani, e ha circa diciannove anni. Il suo collo è cinto da una indelebile corona di fiori (amore, giovinezza, deflorazione), e le fonti riportano che fra i tatuaggi che sfoggia ci sono la luna (mutamento), angeli e stelle (desiderio, aspirazione, guida), e le scritte “Never Despair”, “Nothing Without Labor” e “I Live And Die For Those I Love”.
Il booklet promozionale della Woodward racconta che la ragazza è cresciuta nel Far West assieme al fratello e al padre. Proprio il padre è indicato come l’autore del suo total body, fatto con “grande delizia” di Irene per passare il tempo nella baracca in cui abitavano insieme, ma soprattutto allo scopo di dissuadere i nativi americani dal rapirla. Il booklet asserisce che il padre, dopo aver tatuato anche il fratello, è stato ucciso dagli indiani, i quali però, spaventati dai tatuaggi, hanno risparmiato i figli. La verità è chiaramente molto più prosaica: la Woodward nasce a Philadelphia, suo padre fa il calzolaio, i suoi numerosi fratelli vengono falciati dalla mortalità infantile, e infine muore anche sua madre. Dopo quest’ecatombe, Irene vede l’esibizione dell’uomo tatuato Captain Constentenus, e capisce che la sua unica via d’uscita è scappare col circo.
La sua carriera continua al Globe Dime Museum sulla Bowery. Irene Woodward sposa il suo agente, che adotta il suo famoso cognome, il quale viene trasmesso anche ai loro figli. Antesignana del guerrilla marketing, la Woodward si procura un falso fratello tatuato per supportare la propria mitologia, e insieme diventano l’attrazione American Tattooed Family. Dal 1886 al 1890 fanno una tourneé negli Stati Uniti, per poi andare in Europa. Cominciano a Londra con P.T. Barnum, dove Irene diventa ufficialmente la “Barnumic Tattooed Lady”. Le mete successive sono la Francia, la Germania e la Russia. Irene Woodward è conosciuta in Europa come la Belle Irene, e diventa talmente famosa da sfilare davanti a famiglie reali e alle Società Antropologiche di Monaco e di Berlino.
A fine carriera si ritira nella sua città di origine, da cui all’inizio della professione voleva far dimenticare di provenire. Muore a Philadelphia a 59 anni, per un cancro all’utero, nel 1915.
L’aspetto della carriera di questa donna che ci ha colpito di più è che le sono stati dedicati circa trentotto modelli in cera. Ci ha fatto pensare alla Firenze del Rinascimento, in cui i più potenti, ricchi e temuti banchieri facevano circolare la loro immagine non soltanto tramite gli affreschi, ma anche tramite le statue dei ceroplasti. La basilica della Santissima Annunziata ne era piena, tanto che alcune erano appese al soffitto. Spesso anche le statue devozionali dei santi e delle madonne, soprattutto quelle da processione, erano realizzate in cera, proprio come quelle della Woodward. A giudicare dalla sua fama, dalla diffusione della sua immagine, dalla vita itinerante, dal suo benessere, possiamo affermare che Irene è stata una delle prime dive contemporanee, una vera e propria madonna portata in processione transoceanica.
La donna tatuata da contemplare è a tutti gli effetti una santa con le stigmate. Prima di essere sostituita in epoca contemporanea dal tahitiano tatau, la parola con cui i greci indicavano i disegni permanenti sul corpo dei barbari sciti e traci era infatti stigmatha.
È molto difficile capire i soggetti dei tatuaggi dai dagherrotipi ottocenteschi. Però, osservando una foto stampata in grande formato sul saggio The Tattooed Lady di Amelia Klem Osterud, abbiamo notato una cosa che ci ha fatto venire i brividi. Sulla coscia sinistra di Irene Woodward c’è un rombo iscritto nell’intersezione fra due grandi V, che sembra in tutto e per tutto il pittogramma sacro di una divinità vudù del Dahomey. La Grande Madre Ayizan, preposta a tutti i rituali di iniziazione, compare spesso con l’aspetto di una commerciante con le tasche piene di denaro e viene invocata nei canti come la patrona di un lungo viaggio, che porta alla liberazione. Ed è proprio questo che è successo alla portatrice del simbolo, e a tutte quelle che sono venute dopo di lei.
NORA HILDEBRANDT _ La Femme Fatale
Fisico tarchiato, lineamenti feroci da contadina e occhi gelidi, Nora Hildebrandt nasce a Londra intorno al 1857. Emigrata in America, fa la serva per molti anni. Poi il destino le fa incontrare un misterioso uomo di origini tedesche, probabilmente ex marinaio della marina, che fa vita da nomade lungo la East Cost e si mantiene fin dal 1846 grazie ad una strana arte.
Martin Hildebrandt, uno dei primi tatuatori documentati nella storia d’America, si stanzia infine negli anni Settanta dell’Ottocento in una taverna al 36 di Oak Street, nel pieno della baraccopoli che è all’epoca l’isola di Manhattan.
Nel corso della sua carriera tatua migliaia di marinai e soldati. Nell’immagine sottostante potete vedere Jacob Hildebrandt, il fratello di Martin, quasi sicuramente tatuato da lui.
Dopo una serie di interviste di Martin Hildebrandt uscite sul New York Times, Nora inizia a frequentarlo, a quanto pare se lo sposa e si fa tatuare integralmente, per intraprendere la professione nei dime theatre e nei circhi. Il suo debutto come donna tatuata avviene nel 1884, nella medesima città di Irene Woodward. I suoi dagherrotipi promozionali la ritraggono vestita di fine biancheria di merletto e stivaletti stringati, mentre assume pose leggiadre che riflettono l’immagine idealizzata che aveva del suo corpo massiccio.
A scopo pubblicitario, anche Nora Hildebrandt tesse una propria personale mitologia tragica, in cui suo padre viene forzato a tatuarla da Toro Seduto in persona. Martin la segue nei suoi viaggi, presentato di volta in volta come marito o come genitore.
Il carattere volitivo di Nora le fa fare una sensazionale carriera in Messico, dove incontra sia il presidente che Porfirio Diaz. I fan messicani la riempiono di regali, fra cui orecchini di diamanti, un pony e un cucciolo di tigre. Tornata in patria, la Hildebrandt lavora in un dime theatre sulla Bowery, vantandosi sempre di essere la donna tatuata migliore di tutte, la meglio vestita, la più bella, la più tosta, l’unica ricoperta da capo a piedi di diamanti e pietre preziose.
Questo tratto ricorda un po’ le spacconerie delle rapper di oggi, da Lil’ Kim, a Nicki Minaj e Brooke Candy.
Come loro, anche Nora fa un trionfale tour europeo. E c’è davvero poco da scherzare con lei. Oltre che suo mentore, amante e primo marito, Martin Hildebrandt diventa anche sua vittima sacrificale, quando Nora firma per farlo internare in manicomio. Si dice che Martin sia sempre stato instabile, ma si vocifera anche che la donna abbia un amante più giovane, con cui attua il piano di eliminazione. Cinque anni più tardi, l’ex marito muore al New York City Asylum, mentre Nora mantiene il suo cognome e si risposa con un barbiere tatuato, che diventa Mr Hildebrandt ed inizia ad esibirsi con lei. La carriera della femme fatale si chiude come da copione, con una morte prematura a 36 anni.
LO SCENARIO _ Il circo e i dime theatre
Nomade, spettacolare, arcaico, il circo è sempre stato un mondo opposto al mondo. Giorno dopo giorno, dieci atti sfilano sotto il tendone nell’arena tonda, configurando una struttura temporale opposta a quella canonica, un tempo circolare, da cui il nome.
Il circo è il luogo del mito, in cui la menzogna purifica le brutture della realtà. Come fa notare Amelia Klem Osterud, sulla pista circense “i nani sono sempre di stirpe reale, le circasse sono tutte scappate da harem turchi, le donne cannone pesano sempre almeno cento chili in più, i giganti sono molto più alti del vero”. D’altra parte è quello che vuole il pubblico. L’esotismo è facile da simulare, grazie all’ignoranza degli spettatori, quasi tutti lavoratori rurali. Al di là delle esagerazioni, i circensi sono davvero creature eccezionali, per forza e agilità fisica, per la sofferenza dovuta a malattie congenite, ma soprattutto per l’orgoglio che hanno nell’esporsi. Inoltre c’è il brivido del proibito, perché per l’America puritana il circo è qualcosa di blasfemo. Chi ci va è considerato un peccatore, come anche chi, fra le classi più alte, va a teatro. Gli spettacoli richiamano criminali e borseggiatori e a volte i ragazzi e le ragazze più turbolenti scappano davvero al seguito dei carrozzoni. Il circo è come un tempio, a cui ci si consacra e a cui si appartiene.
Per le donne tatuate, la stagione circense è un traguardo. I loro debutti avvengono solitamente nei dime theater, un tipologia di luogo spettacolare che ha cessato di esistere con l’avvento del cinema. Per il costo di un dime, ovvero dieci centesimi, si potevano vedere animali impagliati, cose strane in vasi pieni di formalina, opere d’arte, cantanti, orsi ammaestrati, parate di freak e sketch teatrali. I dime theater, dopo aver consacrato le donne tatuate ai loro debutti, le riaccoglievano a lavorare durante la stagione invernale, quando i circhi erano fermi.
ANNIE HOWARD _
La prima donna di coppia tatuata
Annie Boyle abita assieme al suo primo marito a poche decine di metri dal negozio in cui lavora Martin Hildebrandt, quindi è molto probabile che sia stato lui a tatuarla. La ragazza ha carattere. Nel 1882 si presenta per un colloquio di lavoro al Globe Dime Theater, indossando il suo cappello migliore e il suo più bel vestito di satin blu. Vuole a tutti i costi ottenere il lavoro, ed è pazza. Il vestito che ha addosso lascia scoperte sia le braccia che la scollatura, che sono integralmente tatuate. Un passante prende Anne a male parole, e lei risponde a schiaffi. Il suo conseguente arresto non è un’operazione facile. Appena il poliziotto le blocca le braccia, lei, come un pitbull, gli morsica via dei pezzi di uniforme. La Boyle passa così dieci giorni in galera per turbativa della quiete pubblica, e quest’avventura costituisce la migliore lettera di referenze possibile. George Bunnell del Globe, soddisfatto della pubblicità gratuita, decide di assumerla.
Lavorando al suo dime theater, Annie incontra un ragazzo tatuato di venticinque anni, Frank Howard, di cui prenderà il cognome dopo aver divorziato dal primo marito. In gioventù lei e Frank sono entrambi piuttosto graziosi. Spopolano sui flyer promozionali dei loro datori di lavoro, finché iniziano un tour con il W.W. Cole’s Colossal Circus. Nel 1888 sono al Barnum di Londra. Fra il 1890 e il 1891 girano l’America con il Wallace’s International Railroad Circus.
Nel 1892 anche la loro figlioletta Ivy, che all’epoca ha otto anni, inizia ad esibirsi nel circo come incantatrice di serpenti. A tredici anni Ivy diventa una regina circassa, un tipo di freak costruito apposta per le scene, bruciando gradualmente i capelli con la birra fino ad ottenere una enorme capigliatura afro. Le circasse venivano presentate al pubblico come ragazze scappate dalla tratta delle schiave turche nel Caucaso.
Frank e Annie invece affermano di essere fratello e sorella, naufragati sulle coste del Pacifico e marchiati dai selvaggi a scopo di tortura. La famiglia continua con le tourneè in Europa e America, fino a quando Frank non muore nel 1925. Annie scompare dalle scene, facendo perdere le sue tracce per sempre.
LA MITOLOGIA FRA MARKETING, SANTITA’,
PERVERSIONE E RIMOZIONE
Oltre all’aspetto nascosto connesso con la religione cristiana dei santi martiri da cui deriva il divismo, il tatuaggio è sempre stato interpretato come una metafora dell’atto sessuale, spesso con risvolti incestuosi.
Le storie raccontate dagli imbonitori cambiano nel tempo, a seconda delle virate etiche del pubblico, e fanno parte integrante del marketing delle artiste tatuate. Nei primi tempi, il copione narrativo è sempre lo stesso: catturata da selvaggi, indiani o abitanti di isole remote, e torturata con gli strumenti per marchiare indelebilmente la pelle. Questa narrazione unisce varie componenti utili ai fini commerciali, dalla drammaticità da romanzo d’appendice, alla razionalizzazione agli occhi degli spettatori dei motivi per cui una donna può farsi tatuare, fino alla conferma degli stereotipi razzisti del pubblico. Se guardiamo a fondo, le immagini virtuali proposte da questo plot si rifanno allo spettacolo dei martiri cristiani, con la differenza che il martirio ottocentesco non è più in nome di Dio, ma in nome della conquista territoriale.
Ovviamente anche i bassi istinti vengono solleticati, suggerendo l’idea dello stupro prima e/o dopo la tortura. Gli spettatori vittoriani sono un concentrato di parafilie, repressione e misoginia, quindi, all’idea della vittima femminile che viene marchiata contro la sua volontà dalla mano di uno o più uomini, stuprata e costretta all’incesto, si eccitano pazzamente e comprano i biglietti.
Queste storie accomunano Irene Woodward, Nora Hildebrandt e la coppia dei Howard. Poi, con la diffusione del cinema, le narrative commerciali si trasformano in storie di fughe d’amore con uomini tatuati e artisti tatuatori, per diventare in seguito storie ribelli di conflitto ed emancipazione dalla famiglia.
EMMA DE BURGH _ Matrimonio in pista
Corpo grosso, iridi chiare, viso gioviale, sognante o malinconico a seconda delle foto, Emma de Burgh intraprende la carriera al fianco del suo futuro marito Frank. Entrambi vengono tatuati dall’inventore delle attrezzature elettriche con soggetti sacri, fra cui l’Ultima Cena sulla schiena di lei e il Calvario su quella di lui. Il loro matrimonio fa parte dello spettacolo, infatti i due performer si sposano sull’arena del Sells Brothers Circus, in una piccola cittadina dello Iowa, con una coppia di ciclisti acrobati come testimoni. Lo sposo è a torso nudo e la sposa porta la sua più succinta divisa.
I de Burgh fanno un tour europeo, arrivando a Berlino nel 1891. Viaggiano insieme fino al 1898, quando il matrimonio finisce ed Emma continua la sua carriera da solista. Fra i suoi estimatori si annovera il pittore preraffaelita Edward Burne-Jones, affascinato da come le sue fluttuazioni di peso di Emma interessassero anche le figure degli apostoli che aveva tatuati sulle scapole.
Emma de Burgh è una delle poche donne tatuate della prima generazione di cui esistano foto di nudo, in cui sfoggia un’espressione fiera e un po’ triste, un ventaglio di piume a coprire le parti intime, grandi seni penduli e un orologio tatuato sulla pancia. È un tatuaggio molto appropriato, perchè il ventre di una donna funziona secondo dei cicli, proprio come la temporalità circense.
IL LAVORO
Al di là di un numero limitato di ufficiali della marina spacconi e di alcuni potenti come Winston Churchill o lo zar Nicola II, gli occidentali che si sottopongono alla pratica del tatuaggio in questa prima fase contemporanea della sua storia sono delle persone socialmente pericolose, come marinai, galeotti, prostitute o, peggio ancora, membri del proletariato. Oltre al marketing e alla sollecitazione della bassa psicologia di massa, i racconti di finzione propinati al pubblico dalle tattooed ladies sono funzionali anche a nascondere la loro più grande infamia, ben peggiore di uno stupro in terre straniere, ovvero quella di fare parte della working class e di essersi tatuate per sbarcare il lunario.
Fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento le maestre venivano pagate 7 dollari alla settimana. Le lavoratrici delle manifatture di tabacco ne prendevano 6. Oltre alla fabbrica, all’housekeeping e alla prostituzione, l’unica altra alternativa era il circo. Era un lavoro stagionale, come tutti i lavori che implicano una performance artistica, ma era ben retribuito. La stagione iniziava a marzo e finiva a ottobre-novembre. Le ballerine venivano pagate 8 dollari la settimana, le trapeziste fra il 35 e i 125 dollari, mentre le cavallerizze, se erano in grado di fare numeri acrobatici e salti mortali, dai 75 ai 125. Le ragazze tatuate potevano guadagnare dai 100 ai 200 dollari alla settimana. Viaggiavano molto e, pur lavorando e percependo un ottimo stipendio, potevano alzarsi tardi.
Il rituale del tatuaggio permetteva quindi di acquisire uno status lavorativo assolutamente privilegiato.
MAUD STEVENS WAGNER _ La rosa tatuata
Mento orgogliosamente alzato, quadruplo giro di perle a coronare una donna che cavalca un leone, sopracciglia dipinte in modo grossolano, capelli raccolti da sposa vittoriana con una rosa infilata nel mezzo, Maud è la protagonista di una delle più iconiche foto arcaiche di ragazze tatuate. Dalle sue altre fotografie esistenti è evidente che Maud non era bella, ma in questo ritratto sembra bellissima.
Trapezista e contorsionista dal fisico asciutto e muscoloso, nel 1904 conosce Gus Wagner alla fiera di Saint Louis.
Lui è un tatuatore itinerante, e vuole assolutamente uscire con lei. I due trovano un accordo, appuntamenti in cambio di sessioni e lezioni di tatuaggio.
Lo stile di esecuzione di Gus è manuale, grezzo e incisivo, i motivi figurativi sono zoomorfi, aquile, farfalle, colibrì, serpenti avvolti come caducei intorno a tronchi di palme, cavalli, draghi. Oltre a quest’indelebile veste regale, che ricorda per lo stile e i soggetti i tatuaggi degli sciamani dell’Eurasia arcaica, in cambio dell’amore Maud conquista lo status di prima donna tatuatrice riconosciuta in America, e si tatua da sola tutto il braccio sinistro.
Nonostante esista già l’attrezzatura elettrica, lei preferisce continuare a tatuare a mano come le ha insegnato Gus. Insegna l’arte alla figlia Lovetta, che inizia il suo apprendistato a nove anni, ma non la tatua e proibisce al marito di farlo a sua volta.
Lovetta, alla morte del padre, rifiuterà di farsi adornare da chiunque altro, e sarà quindi una delle pochissime tattoo artist ad avere il corpo privo di tatuaggi. Esiste una sua foto fatta all’inizio degli anni Ottanta, poco prima che morisse, in cui sfoggia una crocchia rosso Westwood e posa con il famoso dagherrotipo della madre.
L’ultimo tatuaggio che Lovetta ha fatto risale al 1983. È una rosa in stile tradizionale, con corpose linee nere, sfumature di ombra, campiture rosa carnicino e un cuore d’oro, realizzata addosso al celebre tatuatore Don Ed Hardy.
Fiore sacro a Dioniso, ad Afrodite e alla Vergine Maria, la rosa è simbolo di complessità e bellezza labirintica, trasformazione psichica, rigenerazione, segretezza e silenzio. Emblema di amore universale, come il cuore la rosa rappresenta gli organi sessuali, soprattutto quelli di ricettività passiva, ma anche la fluidità dei generi, per la compresenza del fiore e delle spine. La rosa assomiglia alla ruota, quindi è figura del tempo ciclico, dell’eterno ritorno di tutte le cose. L’ultimo tatuaggio fatto da Lovetta ci ha fatto pensare al fiore che ornava l’acconciatura di sua madre Maud, settantanove anni prima.
_Fine prima parte_
_Nel prossimo articolo ci occuperemo della seconda generazione di performer tatuate: Artoria Gibbons, Mae Vandermark, Betty Broadbent, Lady Viola, Jean Carroll e Cindy Ray. Indagheremo la simbologia dei loro tatuaggi, i loro look, le loro avventurose biografie, e scopriremo quali fra loro sono diventate tatuatrici.
Stay tuned!_
Bibliografia
Amelia Klem Osterud, The Tattooed Lady, A History, Taylor Trade Publishing, 2009.
Sulle performer tatuate
http://www.theheroinecollective.com/maud-wagner/
http://www.vanishingtattoo.com/tattoo_museum/french_italian_tattoo_images.html
http://www.tattoolife.com/meet-maud-wagner/
https://espartilho.wordpress.com/tag/maud-wagner/
http://the-history-girls.blogspot.it/2016/11/victorian-tattooed-ladies-circus-freaks.html
https://en.wikipedia.org/wiki/Tattooed_Lady
https://www.nytimes.com/2015/07/12/nyregion/tattooing-embraced-long-ago-by-new-yorkers.html?_r=0
Sulle circasse
http://blog.imagesmusicales.be/circassian-beauties-dancing-the-polka/
Sull’aspetto di New York nell’Ottocento
https://io9.gizmodo.com/slum-life-in-new-york-city-during-the-nineteenth-centu-1584688488
by Krysha
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